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A più mani - Il racconto pazzo

  • Immagine del redattore: Monica
    Monica
  • 21 nov 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 23 ott 2023



Prendi più teste, mettile insieme, frullale un po’ e… vedi cosa viene fuori!



Un racconto pazzo!


Proprio così.


Quello che segue altro non è che un esperimento scaturito da uno dei miei laboratori di Scrittura Creativa.

Più narratori si mettono insieme per dar vita a una storia, ma senza confrontarsi e nulla sapere. Così, oltre alla scrittura, entra in ballo un grande lavoro di creatività introspettiva, proprio perché si arriva dentro la mente di un altro e si cerca di carpirne i significati.

Si scrive cioè a più mani.

Il primo, quello che accende la miccia, ha la responsabilità della partenza, ma anche la libertà di decidere il mood del racconto. Quanto scritto da chi precede, cosa evocherà in chi segue? Si dovrà continuare su quell’onda, per più giri, cercando di interpretare i pensieri dell'altro, ma con la libertà di aggiungere una propria svolta. Una delle difficoltà sta nel contenere il proprio ego, adeguandosi agli input, senza troppo rimescolare quanto in gioco.

Pensate: nel costruire un personaggio o un’ambientazione più teste e più cuori si immergono in pensieri non propri, e cercano di costruire da lì. Non esiste nessuna scaletta, nulla di predefinito, la storia evolve di persona in persona, di volta in volta, con elementi che si vanno a sommare e, tenerla insieme, non è certo cosa facile. Ecco la sfida! La matassa si deve srotolare e, la nostra, si era davvero aggrovigliata. I fili, che alla fine abbiamo dovuto tirare, sono stati tanti.

Grazie Patrizia, Simona e Federica, compagne pazze!

Così vi presentiamo la nostra storia. Leggetela con questi presupposti e perdonateci le inevitabili sfasature.


... e verrà domani

Buona lettura!



Capitolo 1

La libreria nel bosco


Simona


Era un pazzo. Era un visionario. Non si è mai saputo se fosse più uno o più l’altro, ma di sicuro era una persona fuori dal comune. C’è chi dice che ebbe la classica storia d’infanzia strappa lacrime, quel burrascoso passato, invidiato dai ragazzini annoiati, che ti forgia rendendoti un artista o uno schizofrenico. Era schivo e sociopatico, in molti avrebbero messo la mano sul fuoco che si trattava di una qualche forma di autismo, molti altri lo definivano semplicemente timido.

Halvor Petersen, il libraio di Fastrup, anima geniale della città, vestiva sempre di nero. La sua Libreria nel Bosco era finita sulle più famose riviste di arredamento. I turisti raggiungevano la città solo per visitarla e acquistare uno dei libri dallo scaffale che aveva nominato “Letture per i più coraggiosi”. Erano libri da lui scelti e impacchettati con foulard di seta giapponese in modo che non si potesse capire di cosa si trattasse se non dopo averli acquistati. Impossessarsi di uno di questi libri equivaleva a firmare un patto col libraio, per cui la lettura del libro non doveva mai essere interrotta fino all’ultima parola.


La libreria si sviluppava in tanti piccoli locali comunicanti, le pareti erano tutte bianche e nere, talora a delineare degli scacchi, talora delle righe parallele o a spirale, talora a raffigurare contorti e stravaganti disegni simbolici, di cui solo lui conosceva il vero significato. Tutto era meticolosamente realizzato proprio da lui.

I bellissimi scaffali erano ricavati da un sapiente lavoro di intarsio sui tronchi delle querce secolari attorno alle quali era stata costruita la libreria. Altri erano costituiti da altalene appese agli stessi alberi. Altri, fissati alle pareti, erano costituiti da travi di legno stagionato e invecchiato, ottenuto da alberi trovati già caduti nel bosco, a causa dei violenti temporali che regolarmente colpivano questa parte della Danimarca.

I libri non erano ordinati per argomento, ma per colore, e nel colore per sfumatura, per cui vi era la stanza dei libri gialli, quella dei libri blu, rosa, verdi e così via.


Il piano superiore, adibito a sala lettura, era invece un unico grande e luminoso locale, dove si poteva passeggiare tra le chiome degli stessi alberi, che al piano di sotto sorreggevano i libri. Le pareti invece erano interrotte da enormi vetrate incorniciate, che davano sul boschetto di querce che ospitava il negozio. Alcune aperture nei muri avevano permesso a diverse famiglie di codirossi spazzacamino di edificare i propri nidi sui rami della sala. In primavera vi era sempre un gran via vai di uccellini, che andavano e tornavano dalla caccia dei poveri lombrichi verdi, che venivano offerti in pasto ai becchi spalancati dei nuovi piccoli pennuti.


Anche questo boschetto era proprietà di Halvor. Qui vi aveva allestito diversi bracieri accanto a tavolini, a sedie in ferro battuto e a mangiatoie per uccelli. Era particolarmente affezionato a ogni

tipo di volatile. Ogni salottino così ricavato era isolato dagli altri da cespugli di ortensie. A cento metri dalla libreria vi era uno stagno artificiale, con una miriade di specie di anatre, fenicotteri e altri uccelli acquatici. In un articolo di un giornale locale, la libreria nel bosco veniva descritta come la unica e sola libreria che restituiva ai libri la propria anima, rinnovando l’energia degli alberi e, potenziandola delle vibrazioni che emanavano i disegni sui muri, anche il cuore dei libri prendeva a palpitare.

Il sindaco della città, Michael Madsen, un tipo eccentrico, costantemente in competizione con i sindaci dei comuni limitrofi, amava di tanto in tanto spendere i soldi del ricco comune in opere di innovazione clamorose. Non mancava mai di interpellare il signor Petersen per chiedere qualche consiglio, pregandolo di dipingere i muri del municipio o del mercato rionale, ma lui si era sempre rifiutato nonostante il lauto compenso proposto. Ormai erano alcuni anni che Halvor non metteva più piede fuori dal bosco della sua libreria e non lo avrebbe di certo fatto per fare gongolare nella sua arte quel presuntuoso del sindaco. A occuparsi delle commissioni, visto che lui non usciva mai dalla sua proprietà, provvedeva la sorella, Mathilde Petersen.


Halvor e Mathilde erano gemelli. Quando avevano pochi giorni di vita furono recuperati da una suora, suor Freja, nella ruota degli esposti della Casa Missionaria dell’Accoglienza, che da sempre dava rifugio ai bisognosi della città. Fu la stessa Suor Freja a scegliere i nomi dei due bambini, e per i primi anni di vita furono cresciuti proprio da lei.

Purtroppo non era visto di buon occhio, né dai cittadini, né dalle consorelle, che una suora crescesse dei bimbi, i quali oltretutto ancora non avevano un cognome; motivo per cui Freja decise di affidare i piccoli a una famiglia atea che non riusciva ad avere figli propri, i Petersen, i proprietari di una piccola libreria, che tentava faticosamente di erudire gli ottusi cittadini che a quei tempi popolavano Farstrup.


image credits: 1. RalpDesing, 2. Prawng, 3. PeterH-Tama66 da Pixabay


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