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Capitolo 19 - Di lacrime e sangue

Monica

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Improvviso, uno strido squarciò la quiete del tempio. L’aquila non volteggiò, scese in picchiata su Svend. Un forte fruscio agitò l’aria. Le ali maestose, plumbee e possenti, gli oscurarono la vista. Gli artigli si conficcarono sulla sua spalla, strappandogli la camicia, mentre una beccata gli aprì una profonda ferita sulla fronte.
  “Nooo, Whasi, nooo!” implorò Mynte, fiondandosi letteralmente su Svend per cercare di proteggerlo.    
   L’aquila si librò in volo e, in men che non si dica, scomparì alla vista.            
  Il povero Svend era caduto a terra tramortito, spaventato all’inverosimile. Aprì gli occhi e si trovò Mynte sopra di lui. La sua vista era annebbiata.

   “Dov’è tua… tua madre, dov’è Mynte?” riuscì a balbettare.
   “E’ tutto ok, è tutto ok, non avere paura. Sono qui.”    
    Svend la guardò smarrito, il dolore iniziava a pulsare.            
    Mynte proseguì:        
   “Qui la notte è buia, ma un bagliore nascerà… d’arancio, una nota di meraviglia…”       
   Mentre sussurrava quelle parole, i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.       
   “Segui il battito, non ci si può smarrire.”   
   Quell’ultima frase la pronunciò tra profondi singhiozzi.
   I loro visi erano uno sull’altro. Le labbra di Mynte si posarono su quelle di Svend, un tocco leggero, che presto si trasformò in un bacio appassionato, prima lento, poi sempre più profondo. Le loro lacrime si confusero con le gocce di sangue, che scendevano dalla ferita, bagnando le labbra di entrambi. Si staccavano per un attimo, e poi ritornavano dentro quell’incontro di umori.           
  Finalmente era accaduto. Quell’incontro, da lei sempre sognato, fantasticato, vagheggiato, ma mai ritenuto possibile, si era fatto realtà! E quell’emozione, per troppo sopita, strabordò.    
  “Torna a Farstrup, aspettami lì, tornerò”, mormorò Mynte, con lo sguardo dentro a quello di Svend.

   Fu quella l’unica cosa che riuscì a dirgli. In un batter d’occhio, si trasformò nel gufo; un forte battito di ali, e volò via.


  Nel Tempio di Muschio l’incenso rendeva l’aria fumosa, l’odore era pungente. Le fiammelle di decine di ceri votivi tremolavano al di sotto della statua del Buddha, creando un alone di luce evanescente.         
   Svend era rimasto a terra intontito.  
  Il suono delle campane di preghiera si spandeva in onde concentriche. Improvviso, arrivò il segnale del gong, un’ulteriore ondata di vibrazioni lo scosse dal torpore.  Istintivamente si portò le mani al volto, come a coprirlo. Tutto dileguò nel buio. Solo l’odore dell’incenso e il suono delle campane.

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   Nella sua mente tanti frammenti vorticavano:  


  “…  il libro, il libro per i più coraggiosi, perché Halvor gli aveva dato quel libro? Voleva farlo arrivare lì, proprio dentro quel tempio? … le onde, le onde che ti prendono e ti trascinano col loro flusso, e sei in loro balia, pensi che morirai, ma poi raggiungi la riva, e ti senti salvo perché sei vivo e, invece, forse, sei morto perché sei lì, fermo, immobile… proprio come lui ora.  
   <
Dipende da te, da come la senti… Succede, a volte, che ci si allontana dalla voglia di essere felici.> 
 
Solo i più coraggiosi avrebbero cavalcato l’onda, solo i più coraggiosi  avrebbero sfidato i mostruosi guardiani, solo loro avrebbero colto l’invito a entrare… lui, dunque, era stato abbastanza coraggioso?

<D’arancio, una nota di meraviglia.>       
   Il foulard era arancio… l’amore, il tradimento, quel bacio, quel bacio appassionato… quella donna, quella giovane donna, era la figlia di Mynte? Ma come poteva sapere i versi della poesia? E perché piangeva?      
  <
Segui il battito, non ci si può smarrire.>   
   Il battito, il battito delle ali,
quel gufo che si librava in aria.
  <Torna a Farstrup, aspettami lì, tornerò>. 


  Il suo essere, sensualmente evocato da quel bacio appassionato, si infiammò. Le scintille dei giorni precedenti, prima sopite, si fecero fiamma. E l’incrinatura dello stupore divenne lampo.      
  Ora, il suo unico pensiero era tornare a Farstrup. Solo quello voleva. Il più presto possibile. 

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   Intanto il gufo volava. Volò sulle montagne e sul mare. Volò sui boschi, le pianure, i laghi, volò sui fiumi. Volò sul giardino della loro casa. Ma, nulla, dell’aquila, nessuna traccia.
 

   La neve era già alta nel bosco di Farstrup, nonostante l’inverno fosse appena iniziato. In poco più di un’ora il sole sarebbe tramontato. Mynte e Mathilde sedevano sul tronco di quercia, diventato panchina, che si trovava all’entrata della libreria. Si erano appartate per parlare in confidenza di quanto successo in Giappone.      
  “Pensi abbia capito?” chiese Mathilde.   
  “Credo di sì, era tutto dentro quel bacio.”           
  “Perché te ne sei andata?”           
  “Ho avuto paura, ormai sto perdendo i miei poteri di strega, il mio corpo e il mio cuore si sentono donna. Quando l’ho visto entrare nel tempio, non ho capito più nulla, il cuore ha iniziato a tremare. Ora gli indizi ce li ha, il verso della poesia, la mia trasformazione, anche Halvor mi ha detto che ci stava arrivando. Se sarà lui a capire forse , forse, mi perdonerà. Vorrei fosse così, che ci arrivasse a poco a poco, uno shock potrebbe allontanarlo irrimediabilmente.”    

   “Eh, ti vedo bella innamorata, altroché.”  
   “E poi, non mi dici niente? Non mi sta bene il rossetto che mi hai regalato?”
   Mathilde si limitò a sorridere.      
  “Se tu stai perdendo i tuoi poteri, mi sa che qualcun altro li sta affinando… non è che c’è lo zampino di Halvor?”
  “Di che stai parlando?”    
  “Guarda un po’ laggiù sulla tua destra, sul ciglio della strada.”          
   Dalla curva sul vialetto, che portava alla libreria, era sbucato proprio Svend.   
  Il viso di Mynte si aprì in una strana espressione, in un sorriso difficile da decifrare che, se da una parte mostrava stupita gioia, dall’altra lasciava trapelare una certa carica di irrequietezza.  
  Tutto successe all’improvviso, in una manciata di secondi. La stessa scena del Tempio di Muschio stava per ripetersi come da copione.   
  Il forte strido, il volo in picchiata dell’aquila verso Svend, il fruscio nell’aria. E l’urlo disperato di Mynte:
   “Nooo!”
   Mentre Mynte correva verso la strada, si udì un forte stridio di freni, e un’auto uscì dalla curva a tutta velocità, sbandando sul ghiaccio, andando diretta verso Svend, che stava per essere investito.          
   BUUUMMM
   L’impatto fu violentissimo.    

  Il parabrezza andò in frantumi e l’aquila rimbalzò sul selciato. Il grande uccello era a terra inerme, il collo spezzato, dalla ferita sgorgava un rivolo di sangue.  

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   "Whasi, Whasi, nooo, perché, perché?” urlò Mynte tra i singhiozzi, riversa sull’uccello. Ora lo teneva tra le braccia come per cullarlo, abbracciandolo dolcemente.  
  Piangendo, lo fissava:       
  “Perché, perché?” ripeteva tra sé.           
  L’accarezzò dolcemente, passò leggera la mano sulle maestose ali, rimaste semiaperte, seguiva la linea del piumaggio, seguiva il profilo del possente corpo, la lunga coda, schiusa a ventaglio, passò quindi le dita sul collo, ormai intriso di sangue, e il becco giallo, ricurvo. Ritornò sul capo, gli occhi gialli, immobili, fissi in un ultimo, funesto addio. Uno degli occhi era uscito dall’orbita, il violento colpo aveva formato un bozzo di grandi dimensioni.  Lieve posò i polpastrelli e chiuse quello sguardo inquietante. Ritornò sull’occhio fuoriuscito, si soffermò su quel particolare, posandoci sopra il palmo, come per nasconderlo, e socchiuse gli occhi.

   Svend era salvo. Incredulo, guardava la scena a bocca aperta.  
    Michael Madsen scese incolume. E, totalmente ubriaco, farfugliò:
  “Hic, questo uccellaccio mi è saltato addosso da dietro la curva, hic, me lo sono trovato addosso all’improvviso, non ho potuto evitarlo.”   
   Poi, vigliaccamente, risalì in macchina e fuggì. 
   Davanti a quella scena, Mynte, reggendo il corpo dell’aquila tra le mani, ancora inginocchiata su di lui, alzò le braccia aprendole, il volto rivolto al cielo, insieme al corpo inerte all’animale. L’urlo che fuoriuscì dalla sua bocca fu terrore di tenebre, straziante flagello, trascese ogni cosa in quella cornice di ghiaccio.         
  Seguì un tuono assordante, e un lampo rosso cupo sciabolò l’oscurità, che ormai tutto ricopriva. La terra tremò. Le acque dello stagno fuoriuscirono in onde tzunamiche, schizzando per aria decine di pesci. Due querce vennero divelte e caddero pesantemente sul tetto della libreria, mandando in pezzi le vetrate.        
   Fiamme, sempre più alte, si alzarono dall’interno.
  Lingue di fuoco, il giallo nel rosso, il rosso nel giallo, si stagliavano contro il cielo nero. Cariche di inferi, sfrigolavano dentro un suono malevolo e, come in una lugubre danza, ondeggiavano al ritmo dell’aria, slanciandosi sempre più su.
  In poco tempo l’intera libreria crepitò tra le fiamme.

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image credits: 1. Klappe, 2. Vasilijus  Bortnikas, 3. Simona Naldi, 4. Vladyslav Topyekha da Pixabay,

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