MONICA MAZZANTI
copywriting - redazione testi
corsi di scrittura
Inchiostro di parole
Capitolo 4 - La lettera ritrovata
Monica
Inge si era messa davanti alla porta d’ingresso della Casa Missionaria, quasi a sbarrarne l’entrata. Vedendo arrivare suor Freja si irrigidì; il suo atteggiamento, strano da definirsi, mostrava tutta la sua crescente inquietudine. Aveva evitato di affrontarla alla libreria proprio per non coinvolgere i figli.
“Inge…” disse la suora con fare interrogativo alla vista della stramba espressione, ben diversa da quella abitualmente sorridente.
Fu allora che la signora Petersen allungò la mano e le porse la lettera. La suora afferrò il foglietto.
“L’ho trovata nella libreria, era per terra, dietro a un vaso di ortensie, mi è venuto spontaneo leggere… davvero, non capisco, cosa vogliono dire queste parole, perché era lì? Ne sai forse qualcosa?” Pronunciò queste ultime parole saettando i suoi occhi dentro quelli della suora.
Svend era sbiancato.
Freja lesse e rispose incredula:
“Non capisco… davvero, non so…”
“Guarda la data: 27 aprile 1996! Davvero non ti dice nulla?”
La suora null’altro aggiunse: le parole le si erano serrate in gola. Inge non poté non notare lo sguardo smarrito della suora, ma istintivamente si voltò verso Svend e disse:
“Ma noi… noi, non ci conosciamo?”
“No, no… non penso proprio…” balbettò lui.
Stizzita, voltò le spalle e si allontanò impettita, camminando a piccoli passi spediti.
Una volta all’interno, appena oltrepassata la soglia, Freja perse il suo proverbiale bon ton, al diavolo il fratello ritrovato.
“Guarda cosa hai combinato! Non ti fai vivo per 25 anni, 25! Ho pensato di aver visto un fantasma, mi stava venendo un coccolone! Perché sei tornato? Inge e i ragazzi sono la mia famiglia, come puoi fargli questo?”
Svend chinò il capo e nascose il viso tra le mani, quindi rialzò la testa, lasciando scivolare lentamente le dita lungo le guance, così facendo, allungò le orbite

degli occhi e inarcò la bocca in una smorfia: sembrava L'Urlo di Munch! Chi non avesse saputo della tragicità del momento, sarebbe scoppiato a ridere.
“Doveva succedere… doveva succedere…”
“Cosa doveva succedere?” urlò la suora. “Sei tu che fai e disfi, a tuo piacimento, usa pure la tua scempiaggine e combina altri casini.”
“Non volevo, è stato il destino, il destino, tu non sai, non sai…”
“Quale destino? Scappi e abbandoni i tuoi figli, tu e quella pazza di tua moglie. Mai più fatti vivi. E ora cosa cazzo è questa lettera? Da dove arriva? Perché è in mano di Inge?”
“Freja non sai, non sai nulla…”
Svend abbassò lo sguardo e continuò:
“Dopo aver scoperto che Mynte, i gemelli, li aveva lasciati a te, me ne andai anch’io. Dopo tutto aveva ragione lei, ero uno sbarbo scapestrato e impudente, troppo perso per crescere da solo due bambini.”
Suor Freja strabuzzò gli occhi. Una verità insensata e cruda stava per esserle svelata dopo così tanto tempo. Una verità da lei rincorsa per anni, immaginata e vagheggiata, poi volutamente subita per puro spirito di sopravvivenza.
“Come <me ne andai anch’io?> Non siete scappati insieme?”
“Ma no, fu lei a scappare! Ma prima mi tolse i bambini e li portò da te. Non ci misi molto a capirlo, mi sembrò di impazzire! Se ne era andata e mi aveva tolto i figli. Perché? Cosa doveva farmi pagare? Noi ci amavamo, davvero! Non avevamo nient’altro che una storia d’amore, ma a me bastava, anzi, era tutto per me. Senza di lei nulla aveva più senso. Ero sconvolto, e scappai anch’io.”
Svend fece una pausa, Freja pendeva dalle sue labbra.
“Cioè, mi stai dicendo che è lei che mi portò i bambini… ma perché, perché se ne andò?”
“Non lo seppi mai, vanificata nel nulla! Ma mi misi a tornare a Farstrup in incognita, una volta all’anno, venivo apposta per rivedere i ragazzi. Passavo dalla libreria, capisci? Me lo facevo bastare, così li ho visti crescere… Prima alla libreria dei Petersen, poi a quella di Halvor. Ho visto come la trasformava a poco a poco, addirittura menzionata nelle riviste più prestigiose. Il mio ragazzo…”
“Il tuo ragazzo? Il tuo ragazzo, come lo chiami tu, è un uomo con grossi problemi: timido, insicuro, con difficoltà di interazione sociale, non esce mai dalla libreria, vive lì, sepolto tra i suoi libri, in una sorta di letargo, 25 anni e… neanche uno straccio di fidanzata.”
“Sì, è un po’ strano, in effetti, un po’ strano è, assomiglia alla madre.”
Suor Freja scosse la testa e aggiunse:
“Ma la lettera? Voglio sapere della lettera!”
“Quella è la lettera che mi scrisse Mynte, la trovai quel giorno, quando tornai a casa.”
“Ma Dio mio Svend, Dio mio! Perché non sei venuto da me?”
“Come potevo, ci avevi già duramente rimproverati per essere stati così sprovveduti, con due bambini, così giovani, senza un soldo, senza un lavoro. Presi e me ne andai, mi unii al volo a Mikkel e Lucas che stavano partendo per Berlino.“
"Quando trovai i bambini dentro alla vecchia ruota degli esposti ero furibonda. Pensai alla vostra ennesima cazzata, pensai fosse solo una fuga temporanea. Vi cercai a lungo, ma per non dare nei sospetti e far capire che erano i vostri figli, dovetti fare tutto di nascosto. E non riuscii a niente. I bambini vennero adottati da una meravigliosa famiglia. E finii per essere contenta così. Li ho visti crescere, sono un po’ anche figli miei.”
Svend continuò il racconto:

“Piano piano, però, ritornando a Farstrup, riallacciai una sorta di rapporto coi ragazzi. Quando andavo alla Libreria nel Bosco parlavo lungamente con Halvor, ormai era diventato un uomo, e potevo intrattenermi con lui. Un giorno, gli chiesi un libro che raccontasse una storia sulle follie dell’amore, mi portò nella sala arancione, e fu così che mi spiegò la simbologia dei libri divisi per colore. Nella sala arancione c’erano i libri che narravano di creatività, emozioni e sesso… mi disse che ogni colore è associato a
un chakra, e il colore arancio va col secondo chakra, che corrisponde appunto all’area pelvica, e agli organi sessuali.”
Freja rispalancò gli occhi incredula:
“Halvor? Halvor ha detto questo?”
“Sì, sì, Halvor. Poi mi ha spiegato le sfumature di colore: il tono pallido indica il desiderio di eliminare qualsiasi restrizione, il color del miele parla del bisogno di felicità, poi, sinceramente, non ricordo… ma i libri blu parlano del cielo e dell’acqua delle grandi distese; il verde…”
“Ho capito, ho capito”, lo interruppe Freja, “allora, ci sono tre psicolabili: tua moglie Mynte, Halvor e TU!”
La mite e amorevole suor Freja aveva davvero perso le staffe. L’inaspettata realtà le si era scaraventata addosso, e ora se ne sentiva totalmente responsabile. Neanche lei si riconosceva più: sbraitava, diceva parolacce, insultava il fratello. Dopotutto, però, era uno sfogo per quanto tenuto sopito troppo a lungo.
“Ma la pazza, l’avrai cercata. Com’è possibile che non avessi un indizio, un presentimento. Si sa se è viva, se è morta…”
“No, ti ho detto, no, non seppi mai nulla! Ma sei mesi dopo la sua fuga arrivò una lettera senza mittente, c’era un francobollo con ideogrammi, lo mostrai a Akiko Fumio, il giapponese che vive a Torslunde. Pensavo venisse dalla Cina, ma Akiko mi disse che era proprio giapponese, ma non sarebbe riuscito a capire da dove proveniva. Un anno dopo ne ricevetti un’altra…”
“E allora… cosa dicevano ‘ste lettere?”
“Nulla, erano poesie e non portavano nessuna firma.
<Qui la notte è buia, ma un bagliore nascerà… d’arancio, una nota di meraviglia… segui il battito, non ci si può smarrire.>
Sono sicuro le avesse mandate lei.”
“Oh Gesù!” sospirò la suora, alzando gli occhi al cielo. “Dal fiordo al Giappone, certo ce ne passa…”
Svend continuò:
“Il libro che acquistai quel giorno, A un usignolo mi porta la tua ombra, proveniva dalla sala arancione, ma Halvor volle farmi un regalo e l’avvolse in uno dei foulard di seta, appunto di color arancio, come fosse uno dei libri per i più coraggiosi. Pensai fosse una strana coincidenza, mi portavo a casa un libro sulle follie dell’amore, racchiuso dentro un foulard di seta giapponese… così, davvero… non so perché… ma decisi di tenere la sciarpa, ma riportare il libro indietro e rimetterlo nello scaffale con dentro… la lettera di Mynte.”
Suor Freja ascoltava in sacrosanto silenzio, assorta dentro una sua bolla di pensieri, lo sguardo assorto. Svend continuò:
“… era come mettere un messaggio dentro una bottiglia e affidarlo al mare… capisci?”
Finalmente la suora parlò:
“Quale mare? Il mare di libri di Halvor… Chi l’avrebbe trovata, Halvor stesso?”
Svend la guardò con occhi sconsolati e tacque. “Cos’era Svend, una sorta di confessione o, meglio, un’espiazione?”
Svend prese coraggio, poi continuò:
“Ogni volta che tornavo, controllavo se la lettera c’era ancora… e c’era sempre, ma questa volta, no! Ma il libro sì! Capisci? Qualcuno l’aveva trovata e l’aveva presa! Così, questa volta, ho ripreso il libro.”

La rabbia furibonda, che aveva travolto suor Freja, stava sbollendo davanti all’incredibile racconto del fratello. Di lui stava emergendo un’immagine diversa da quella del ragazzino sbandato, lasciato sedicenne, stava emergendo una persona disadattata e contorta, ma con un profondo travaglio interiore e un enorme senso di colpa. Ora Svend era un uomo di 41 anni, ma ne dimostrava sicuramente di più. Dell’aspetto giovanile era rimasta solo la notevole altezza, un po’ ridotta da un leggero incurvamento delle spalle. I capelli, appena mossi, erano pennellati da striature argentee, non brizzolate, ma sfumate d’argento, proprio della stessa tonalità della folta capigliatura di Halvor.
“Certo che hai combinato un bel casino, ora… cosa facciamo, hai qualche idea? Beh, certo che no! Posso pretendere tanto?” disse la suora, ma questa volta con tono più gentile, con un cenno di ironia. "Inge ha già un fondato sospetto… sennò mica veniva qua con quel tono, sembrava un’altra persona.”
“Dobbiamo dirlo a Halvor.”
“Halvor non si tocca! Vuoi mandarlo fuori di cucuzza? Forse Mathilde, forse, che è la più normale cioè, normale, si fa per dire. Tanto Inge ha chiesto spiegazione a me, non a Halvor, se mai non te ne fossi accorto, tanto vale confidarsi con loro e, se per colpa tua, perderò la loro stima e la loro amicizia, subirò l’oltraggio. Continuare con l’inganno sarebbe peggio.”
Suor Freja volse lo sguardo verso la finestra. Aveva iniziato a nevicare, i fiocchi, come grossi batuffoli di bambagia, scendevano sullo sfondo dell’imbrunire.
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