MONICA MAZZANTI
copywriting - redazione testi
corsi di scrittura
Inchiostro di parole
Capitolo 15 - Una piantina di menta
Monica
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“E tu, sorellina, tu, cosa hai da dirmi?”
Il simpatico viso di Mathilde si aprì in una buffa smorfia, e la sua tipica risata ruppe il silenzio.
“Hi hi hi hi.”
Questa volta, però, era una risata meno fragorosa del solito, una punta di imbarazzo era percepibile.
“E le mie orecchie… non ti dicevano niente?”
“Eh, sì, in effetti… non erano proprio nella norma…” replicò Halvor, scuotendo la testa.
“Ti sono sempre stata accanto, silenziosamente, proteggendoti. Che senso avrebbe avuto rompere il tuo equilibrio. Strano, lo eri per gli altri, non certo per me. Mai mi sarei svelata, se non fossimo stati scaraventati dentro ‘sto putiferio, se non ti avessi visto in grande sofferenza. Sono stata io a convincere Mynte a rivelarsi, probabilmente ci saresti arrivato da solo, ma pagando un prezzo troppo alto. Diciamo, così è stato più facile.”
“Ti sembra facile? Streghe gufi guardiani apparizioni magie portali scomparse trasformazioni lettere abbandoni spiate inganni. Ancora non ci credo! Mi sembra di impazzire.”
“La tua metà fatata metterà tutto a posto… dalle solo un po’ di tempo.”
“E adesso, cosa gli dico a mio padre? Quella merda che mi ha lasciato solo e poi spiato per una vita!”
“Ma non ti dice niente, che sia stato proprio lui a dare inizio a tutto questo? Parti dal libro e dalla lettera. Aspetta e vedrai… è tutto un disegno del destino. Ciò che deve compiersi, si compirà… Non devi rivelare nulla, vai da lui e digli solo che sai che è tuo padre. Non devi cercare nulla, solo avere occhi nuovi. ”

La sciarpa arancio avvolgeva il collo di Halvor in morbide volute, rifrangendo il colore in sottili sfumature tono su tono, come fosse illuminata da una luce interna che traboccava dalla sua stessa pelle. L’espressione del volto era difficile da decifrare, ma sembrava quasi di sentire tamburellare il suo cuore, mentre si accingeva a suonare il campanello della casetta in pietra, che si trovava al limitare del vicolo, adiacente al bosco di faggi. In mano, reggeva una piantina di menta.
Freja, come promesso, aveva organizzato l’incontro tra Halvor e Svend, pur senza svelarne il motivo.
I due si trovarono faccia a faccia. Solo allora, Halvor notò una certa somiglianza tra di loro. Il naso diritto, gli occhi piccoli e molto chiari, e poi i capelli, con quella strana sfumatura argentea.
“Prego, accomodati, Freja mi ha detto che volevi vedermi. Mi fa molto piacere che tu sia qui.”
All’interno un tavolo era apparecchiato con due tazze da tè.
Fu sempre Svend a rompere il silenzio.
“In ricordo dei tè che mi hai sempre servito, ho pensato ti facesse piacere ne bevessimo una tazza insieme.”
Poi, fu Halvor a parlare, porgendogli la pianta.
“A proposito, questa è per te. Ti è sempre piaciuta la menta, no?”
Svend sbiancò.
Quindi, Halvor, lentamente, si tolse la sciarpa e la posò sul tavolo.
“L’hai letto il libro?”
“Quale libro, quale dei tanti che ho acquistato nel corso degli anni?”
“Quello sulle follie dell’amore, non volevi leggere delle follie d’amore?”

Ci fu un lungo silenzio. L’espressione umiliata di Svend travalicò il suo iniziale smarrimento.
“Hai trovato la lettera… ma come hai fatto a capire?”
“Mi ha detto Freja…”
“Volevo tanto trovassi quella lettera. Non ho mai avuto il coraggio di svelarmi, di dirti la verità. Lei se ne andò di punto in bianco, all’improvviso. Non l’ho più rivista da allora, scomparsa nel nulla. La cercai ovunque. Come indizio, avevo solo quelle lettere che mi scrisse in forma di poesia, criptiche,
incomprensibili. Ma mi fecero capire che l’avevo persa per sempre. Se ne era andata dall’altra parte del mondo, in Giappone. Pensai anche di partire, di andarmene anch’io laggiù, ma dove avrei potuta cercarla? Non saprò mai perché se ne andò. Il nostro era un amore da ragazzi, ma proprio per questo semplice e vero. Non ci misi molto a capire che eravate i bambini lasciati alla Casa della Accoglienza. Non volevo abbandonarvi, ma ero sconvolto, e accettai che fosse così. Non avrei saputo crescere due figli.”
Fece una piccola pausa, quindi aggiunse:
“Mathilde sa?”
“Sì, Mathilde sa tutto.”
“E come l’ha presa, perché non è qua?”
“Mathilde ha accettato, tanto tempo fa…”
“Quando nel libro lessi la leggenda di Plutone e Myntha, pensai che in tutto questo c’era qualcosa di magico. Perché mi avevi dato proprio quel libro, che parlava d’amore e tradimenti. Perché la ninfa portava lo stesso nome di tua madre? E poi quella sciarpa, che proveniva dal Giappone, color arancio, come il chakra dell’amore. Come potevi sapere? Fu così che decisi di mettere la lettera nel libro e riportarlo perché tu la trovassi… un giorno, e così è stato. Ma perché, dimmi tu perché?”
“E’ vero, in tutto questo c’è molto di magico. Pensalo come il mare, come le onde, che ti prendono, ti trascinano col flusso e sei in loro balia, poi raggiungi la riva e ti pensi salvo, sei vivo, oppure no, forse, sei solo morto, fermo, immobile, hai perso il flusso. Dipende da te, da come la senti. E arriva un’altra onda, e ti riporta via, e tutto ricomincia. Succede, a volte, che ci si allontana dalla voglia di essere felici.”
Svend sorrise, eccolo il suo Halvor, ora lo riconosceva, era lui. Con la sua filosofia annusatrice di storie e di vita.
“Ho sempre pensato tu fossi di più. Mi perdonerai mai?”
Halvor abbasso gli occhi.
“Ci sto provando…”
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