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Capitolo 16  - Una notte di luna piena

 

Patrizia

​

Nemuro, Giappone

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I germogli di glicine, raccolti alle prime luci dell’alba, venivano mescolati alle foglie di acero rosso finemente tritate. Sarebbe occorsa l’intera notte affinché i loro poteri si amalgamassero. La luna piena splendeva nel cielo completamente privo di nuvole.     
  “Perfetto”, pensò Mynte, mentre continuava a mescolare tritando finemente i due ingredienti fino ad ottenere una polvere leggermente granulosa. Raccolse il tutto e lo mise all’interno di una tazza ricavata dal legno di un abete, ponendo sulla polvere lunghe ed affusolate foglie di menta. Tenne la tazza fra le mani, poi per tre volte passò il palmo sul bordo, e infine la pose sul davanzale illuminato dalla luna. Con il trascorrere delle ore il contenuto appariva sempre più luminoso, come una piccola fiammella accesa.          
  Per tutta la notte Mynte rimase accanto al davanzale osservando la tazza e il suo contenuto ripetendo a bassa voce un mantra e solo al far del giorno sciolse la posizione del loto e riprese il tutto, che avrebbe utilizzato per il consueto e periodico rito di  purificazione ambientale.    

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   Whasi, sbadigliando, entrò in cucina.     
  “Qualcosa che conosco o un nuovo intruglio?” 
  “Qualcosa che conosci, oggi scenderò al fiume per la purificazione.”            
  “Andrai solo al fiume o tornerai da Halvor?”   
  “Come mai così curioso?”       
  “Mi preoccupo per te, questi viaggi non ti fanno bene. Preferisco saperti qui al sicuro, con me.”   
  “Percepisco una certa gelosia o mi sbaglio?”     
  “Ah ah, geloso io? Ah ah”, disse ridendo, ma di una risata un po’ forzata, e uscì dalla cucina per poi riaffacciarsi subito.
  “Ma una delle prossime volte verrò anch’io con te” e subito scomparve.

   Per Mynte ritornare a Farstrup rappresentava il punto focale di ogni suo pensiero. Temeva le conseguenze causate dalla sua vicinanza ad Halvor, ma era ciò che desiderava. Sentiva gli sguardi di Whasi, sguardi indagatori. Se fosse stato per lui, Mynte avrebbe dovuto dimenticare il suo trascorso da umana, dimenticare Halvor e Svend e dedicarsi esclusivamente alle sue arti magiche e a lui.

 

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    Ancora una volta oltrepassò il portale. Mathilde era lì ad attenderla con il suo immancabile sorriso.        
  “Mynte ci tenevo troppo a darti notizie di Halvor. Sembra un'altra persona. Sta acquistando un equilibrio e una maturità che non gli appartenevano. Sono certa che conoscerti, e sapere da te la verità sulla sua nascita, lo abbia guarito dalla sua ritrosia nei confronti del mondo.”          
  “Sentirti dire ciò mi riempie di gioia. Ho però bisogno del tuo aiuto per spiegargli i suoi poteri e come gestirli. Sai che non posso stare troppo tempo accanto a lui, perché ciò provocherebbe cataclismi, amplificando in modo anomalo i nostri poteri, ma per fare ciò ho bisogno di tempo e tu potresti farlo al posto mio.”  
    Mathilde aggrottò la fronte, la guardò negli occhi.
   “I vostri poteri si sommerebbero negativamente? Che strano, lo ignoravo, credevo tu avessi abbandonato Halvor per compiere una missione di vitale importanza in Giappone, ma”, e nuovamente il sorriso apparve sul suo volto, “sarò felice di aiutarvi. Ti piacerebbe venire con me al bar Lett, fanno una cioccolata in tazza sublime.”       
  Mentre uscivano dal bosco Mathilde raccontò dell'incontro di Halvor con Svend. Stranamente Mynte, al sentire nominare Svend, ebbe un piccolo tuffo al cuore, un brivido le attraversò la pelle e le gote le si arrossarono. Il sole brillava oltre le chiome degli alberi e il cinguettio di alcuni uccelli faceva da sfondo alle parole di Mathilde.   
  Quando salì in auto, Mynte si rilassò completamente, continuava ad ascoltare la voce garrula di Mathilde, che non aveva cessato un attimo di chiacchierare, ma il suo sguardo abbracciava tutto ciò che vedeva e tanti ricordi le si riaffacciarono alla mente. Il volto sorridente, le mani giunte in grembo, i suoi occhi voraci di ogni dettaglio, di ogni colore, di ogni sfumatura.

   “Credi che potrei visitare la libreria?”     
   Mathilde stava parcheggiando.    

   “Certo, perché no. Halvor ne sarebbe sicuramente felice. Potremmo fargli una sorpresa. Lui ti aspetta, non sa quando saresti tornata. Ma ora devi assolutamente assaggiare la cioccolata. Poi vorrei comprare un rossetto, cioè, sai, noi non dovremmo dedicarci a queste futilità, visto la nostra natura poco... beh... comunque, io mi diverto. Metto anche lo smalto eh eh, peccato che ancora non sia tempo di sandali eh eh, dai che oggi ci divertiamo, poi sì, andiamo alla libreria”. 

   La prese a braccetto e con il suo passo danzante da bimba la trascinò all'interno del centro commerciale. Rispetto all’eternità, quella mattina rappresentava una spolverata di millesimi di secondo, ma Mynte sentì in quei pochi istanti la meraviglia di essere viva, la gioia della spensieratezza e la dolce ansia dell'aspettativa di rivedere Halvor e visitare la sua libreria.           “Meravigliosa questa cioccolata, e i pasticcini, mmm, una delizia.   Mathilde, sei veramente magica ahah. Il rossetto poi ti sta d'incanto, però ti è cresciuta la punta delle orecchie…”             Mathilde la guardò stupita, mentre portava le mani alle orecchie, ma gli occhi di Mynte, che brillavano, le svelarono lo scherzo e in contemporanea cominciarono a ridere di gusto.  

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  Quella mattina anche Freja si era recata al centro commerciale. Gli ultimi avvenimenti l'avevano provata, si sentiva stanca ed irritabile. Si era concessa qualche ora di libertà. Neppure le preghiere erano riuscite a sciogliere il groppo che sentiva in gola e che le attanagliava lo stomaco. Dopo essere rimasta sospesa in aria per un tempo che non era stata in grado di quantificare, aveva pensato di avere sognato, di avere avuto un'allucinazione. Ancora dubitava della realtà dell'accaduto. Accompagnare Halvor dal tatuatore aveva risvegliato in lei lontane angosce, mai superate del tutto. E anche l’incontro organizzato tra Svend ed Halvor l'aveva ulteriormente stancata emotivamente. Aveva comprato nastri di raso e stoffe colorate, che avrebbe usato per confezionare piccoli sacchetti, che sarebbero stati perfetti per contenere i vasetti di marmellata e miele. Il pensiero di questi lavoretti già l'aveva un po’ rasserenata. Un ulteriore toccasana sarebbe stata una cioccolata calda con una montagna di panna montata.
  “Perché no”, si disse, “non sarebbe un peccato di gola, semmai un piccolo premio per tutto ‘sto stress.” 
  Con passo svelto e deciso, le spalle dritte e il ciuffo ribelle, che sfuggiva al velo, entrò nel bar Lett, e mentre individuava un tavolino, sentì la risata inconfondibile di Mathilde.
  “Fantastico”, pensò, “un paio di chiacchiere con lei è quello che ci vuole per ritrovare un po’ di buon umore.”  

   Si girò per vedere dove si trovasse e la vide in compagnia di una giovane donna che le dava le spalle. Anche Mathilde la vide, smise di ridere, un sorriso stentato e un po’ imbarazzato, ma poi la sua natura prese il sopravvento.
  “Sarà quel che sarà“, pensò e alzò una mano per salutarla e con un cenno le indicò di avvicinarsi e accomodarsi. Spostò un poco la sedia e Freja si sedette con un enorme sorriso.
  “Che bello vederti, chiedo scusa alla tua amica, se mi intrometto”, così dicendo si girò verso Mynte.       
  “Mi presento...” ma non terminò la frase.          
  L'occhio dorato di Mynte brillava intensamente e l'occhio azzurro sembrava le leggesse i pensieri. Freja si sentì mancare l'aria, percepì una strana tensione provenire dalle due donne, un’energia che illuminava la microscopica polvere volteggiante nell’aria. Sbatté più volte le palpebre, una porta si era spalancata sul passato e ora, da quella porta, entrava una persona, non il ricordo, ma una persona reale, immutata nell’aspetto.   
  Una brezza invisibile la avvolse. La cicatrice sulla tempia da pallida divenne scarlatta. Appoggiò le mani sul tavolo come volesse essere certa di non cadere e trovare un appoggio. A testa china vide le sue mani, non più giovani e fresche, guardò le mani di Mynte tornite, morbide, senza una macchia.      
  “Ma come è possibile, non è possibile! Ma gli occhi, quegli occhi...”
  Girò il viso verso Mathilde e, per la prima volta, vide che l'espressione sul suo volto era seria e preoccupata.
Mynte le prese le mani e con un polpastrello le sfiorò i tatuaggi. Un brivido percorse le braccia di Freja: un già vissuto, lei china sulla culla in cui dormivano due bimbi nati da poche ore e Mynte che le carezzava i tatuaggi, lo stesso identico gesto, la medesima intensità.     
  “Cara Freja, è tutto scritto qui, sulle tue dita”, mormorò Mynte. “Vieni, usciamo, torniamo nel bosco, sarà più facile spiegarti.”       
  Freja attonita e scossa agitava le mani, prese contro al velo, che le tirò i capelli, allora con gesto adirato lo tolse del tutto, mostrando i riccioli trattenuti da forcine e la treccia raccolta sulla nuca.
   Mynte si alzò in piedi.         
  “Vieni cara Freja, hai il diritto di essere arrabbiata, sì, sono davvero io, sono Mynte ed è giusto tu conosca la verità. Credimi, l’avrei fatto, ma se oggi ci siamo incontrate, oggi sarà il giorno in cui potrò chiedere anche il tuo perdono e spiegarti.”           
  Freja stava per ribattere che no, non le avrebbe seguite, che lei era stanca, stanca di tutti questi segreti, che tutti l’avevano ingannata e usata, ma quando il suo sguardo incontrò lo sguardo di Mynte, tutte le parole che avrebbe voluto dire le si sciolsero in gola, guardò Mathilde, rivolse nuovamente il suo sguardo verso Mynte, si alzò decisa con portamento fiero, le spalle dritte:        
  “Andiamo”, disse.

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   Lontano da occhi e orecchie indiscreti, Freja ebbe tutte le spiegazioni sulla natura di Mynte e Mathilde. Dapprima era come intontita, diffidente, non riusciva a credere ad una parola. Poi il ricordare del suo gravitare in aria, le fornì il primo indizio per convincersi di credere a quello che le veniva raccontato, ma furono i tatuaggi la chiave di tutto. Cosa volevano dire? Rimaneva ancora quel punto oscuro.   

   “Ma allora, i miei tatuaggi, cosa avrei dovuto capire o vedere?” 

   Mynte sorrise.      

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   “I tuoi tatuaggi? Dolce Freja, sono formule magiche. Quando ti chinasti sui neonati e io li vidi sulle tue belle dita, capii immediatamente che dovevi essere tu la persona a cui avrei affidato i piccoli. Nessuno, a parte Halvor, ne conosce il significato. In realtà, anche Halvor ancora ne ignora il significato. Dovrà prendere coscienza dei suoi poteri, dovrà adoperarsi e, come un apprendista, imparerà ad utilizzare le sue abilità. Con il tempo saprà e agirà. Il tatuatore ha agito sulla base di un’intuizione, ma anche lui non poteva e non può darti spiegazioni. Halvor, seppur inconsciamente, ha colto il messaggio e li ha disegnati sui muri.”          

   Freja si guardò nuovamente le mani, aprì e chiuse le dita, scrollò il capo e, per la prima volta da quando le aveva seguite nel bosco, sorrise. Mynte la abbracciò e le sussurrò all’orecchio:
  “Ti va di andare ora alla libreria? Halvor deve sapere che ci siamo parlate e che ora anche tu sai”.         
  Le tre donne si avviarono lungo il vialetto che conduceva alla libreria. Sembrava l’immagine di una mamma con due figlie, niente di magico: una donna con riccioli trattenuti da mollette e una lunga treccia sfacciatamente appoggiata su una spalla, una giovane donna con lunghi boccoli del colore delle stelle e una ragazza con una cuffia verde, che le lasciava le orecchie scoperte, e che parlava mentre camminava con piccoli saltelli. A chi le avesse osservate, trasmettevano un grande senso di affiatamento.        
    Sembrava tutto perfetto: ignoravano il dramma che le attendeva.

   Il sindaco aveva preso l’abitudine di fare lunghe passeggiate nel bosco. Era sempre alla ricerca di qualche espediente per convincere Halvor a dipingere per lui. Sperava sempre di incontrarlo per caso, ma non lo vedeva da più di una settimana. Quando vide passare le tre donne rimase folgorato da Mynte, con il suo incedere elegante e leggero, quasi sfiorasse il suolo, e quei capelli, che le ricoprivano le spalle come un delicato scialle. Aumentò il passo per raggiungerle.  Fischiò, un modo un po’ rozzo per far capire che le aveva notate, ma nessuna di loro ci face caso, non voleva perdere l’occasione per farsi presentare a quella bella donna e fischiò nuovamente. Mynte si girò incuriosita.     
  “Ma chi è quel tipo?” chiese aggrottando la fronte.
  “E’ solo il sindaco”, rispose Mathilde, che si era girata a sua volta, “un tipo un po’ strano, che è peggiorato negli ultimi tempi. Meglio evitarlo”.          
  Prese pertanto Mynte e Freja a braccetto e proseguirono.
  Il sindaco stava per chiamare a voce alta Mathilde, quando con la coda degli occhi intravvide un’ombra nel cielo. Alzò lo sguardo e rimase di stucco nel vedere volteggiare in ampie e sempre più ravvicinate volute una superba aquila reale.
  Quando Mynte, Mathilde e Freja varcarono l’entrata della libreria tutto sembrava ancora perfetto.

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image credits: 1. Pexels, 2. Noupload da Pixabay                                                                                                   

                                                                                                                                                                         Capitolo  17

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