MONICA MAZZANTI
copywriting - redazione testi
corsi di scrittura
Inchiostro di parole
Capitolo 10 - Un volo inaspettato
Patrizia
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Nemuro, Giappone
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Mynte aprì le sue ali da gufo e con un volo elegante e regale sorvolò la libreria, lo stagno, il bosco, per poi posarsi sul ramo del grande albero, poco distante dall’incavo del tronco. Le sue bellissime ali bianche cominciarono a risplendere come se all’interno vi fosse una luce che, più si diffondeva all’intorno spargendo fasci di colore arancione, più il gufo sembrava scomparire come fagocitato da quel bagliore. Il balenio sembrò danzare mentre veniva come risucchiato all’interno dell’incavo. Pochi istanti e, come in un incantesimo, del gufo e della luce non c’era più traccia.
Whasi seduto nella posizione del loto la aspettava.
“Sei tornata finalmente.”
Mynte non rispose, scivolò silenziosa accanto a lui, si sedette sui cuscini abbracciandosi le ginocchia.
“Non ti fa bene andare là. Devi dimenticare e lasciare perdere quello che è accaduto. Ultimamente sei sempre più spesso a varcare il confine. Sta diventando una ossessione.”
Mynte si accarezzò la lunga chioma con la mano destra e ne arrotolò un boccolo sull’indice, poi si girò verso Whasi e lo guardò con i suoi occhi di colore differente, che luccicavano.
“Forse hai ragione.”
“Ho ragione.”
Il silenzio li avvolse, solo il rumore delle foglie degli alberi del giardino mosse dal vento.
Poi Mynte si alzò, raddrizzò le spalle, si passò le mani sui fianchi.
“Vado a preparare il tè”, disse.
“Ottima idea”, rispose Whasi, mentre si accingeva a mettersi nella posizione della candela.
Ma un minuto dopo Whasi si alzò e raggiunse Mynte in cucina. Camminava scalzo e Mynte non lo sentì, e per questo non fece in tempo a nascondere le lacrime.
“Mynte che succede? Non ti ho mai visto piangere. Mia dolce tamashi, tamashi mia.”
Non l’aveva mai chiamata “anima mia”, mai. Non era mai stato così esplicitamente affettuoso, mai. Fra loro c’era una complicità quasi da soci in affari, un sodalizio che durava da centinaia di anni, ma vedere Mynte piangere fece erompere un vuoto nel battito del cuore, una stretta allo stomaco, un impulso irresistibile di protezione, che lo spinse ad avvicinarsi a Mynte, carezzarle il volto, asciugarle le lacrime con le dita per poi stringerla fortemente a sé.
“Tamashi mia, tamashi mia”, continuava a ripetere.
Lei dapprima rimase paralizzata, immobile. Era andata in cucina apposta per non farsi vedere in lacrime. Tanto lui sarebbe rimasto a fare i suoi innumerevoli asana finché lei non fosse tornata con il vassoio e tutto l’occorrente per la cerimonia del tè.
Invece eccolo lì, non ironico, non sarcastico, semplicemente preoccupato per lei. Whasi non comprendeva cosa gli stava accadendo, perché provasse quel desiderio così forte di contatto quasi a volersi fondere in lei.

Mentre l’abbracciava, lei si sentì dapprima sorpresa. Mai si erano abbracciati in 700 anni, mai. Come era caldo e protettivo questo abbraccio. Chiuse gli occhi e rivide i fiocchi di neve che cadevano copiosi mentre dava alla luce Halvor. Le sue narici percepirono l’odore della menta, che riempiva una mensola accanto alla finestra, con un leggero sospiro rilassò i muscoli, mentre sentiva il calore che proveniva dal corpo di Whasi.
Lui le baciò delicatamente le palpebre.
“Le tue lacrime sono zuccherate. Sei speciale anche in questo”, le sussurrò nell’orecchio.
Lei gli arruffò i capelli, mentre le veniva da ridere pur continuando a piangere, ed un brivido le scese lungo la schiena quando le labbra di lui si posarono sul suo collo. Gli prese le mani, le intrecciò con le sue, si avvicinò ulteriormente a lui ed ora fu lei ad abbracciarlo. Si guardarono negli occhi, catapultati in un mondo che non conoscevano e che sentivano di dovere esplorare: lui sciolse la cintura del kimono di lei, mentre lei scioglieva quella dei pantaloni della tuta di lui.
Come se tenesse fra le mani una preziosa statuetta di ceramica, Whasi la sfiorò con i polpastrelli, con meraviglia, con delicatezza e lei sentiva fremere la pelle dove lui la carezzava.
Dimenticarono chi erano, perché esistevano, fermarono il tempo, lasciandosi trasportare in un dolce e confortante amplesso, Mynte non sentiva il freddo e duro pavimento su cui era sdraiata, tutti i suoi sensi erano concentrati sulle emozionanti ed esaltanti sensazioni che provava. Lui era completamente coinvolto in un sentimento che gli si era rivelato e che ora lo assorbiva e colmava di desiderio di darle conforto e piacere; si guardarono nuovamente negli occhi, per la prima volta si baciarono con passione sulle labbra e nell’intreccio delle mani, delle lingue, delle gambe, un fremito, un’onda li colse, lei emise un lungo e profondo sospiro, lui gridò mentre le sue braccia divennero enormi ali nere, e con un ultimo ed intenso fremito si trasformò in una splendida aquila reale.
Presero il volo insieme: lei con le sue ali bianche iridescenti, lui con le sue ali nere e possenti. Volteggiarono formando una spirale, librandosi oltre gli alberi del giardino, mentre il vento ora fortissimo sembrava volesse sradicare case e vegetazione, inarrestabile, in vortici sempre più impetuosi.
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In quello stesso momento Halvor sentì mancargli il respiro, allargò le labbra come a volere inspirare più aria possibile e riempire i polmoni di carica vitale, tutto sembrava muoversi intorno a lui.
“Cosa mi sta succedendo?” pensò.
E mentre espirava, un vento fortissimo lo avvolse per poi subito cessare. Si svegliò di soprassalto. Era solo un sogno, era solo un sogno…
Sempre nello stesso momento Svend sentì un forte odore di menta avvolgerlo. Chiuse gli occhi e seguì l’impulso di prendere il libro A un usignolo mi porta la tua ombra. Cominciò a rileggerlo.
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Nemuro, Giappone
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A Nemuro il vento impetuoso si fece brezza, gradualmente il cinguettio degli uccellini prese possesso dell’etere. Whasi e Mynte rimasero di nuovo abbracciati, sdraiati sul pavimento, poi in silenzio, tenendosi per mano, si alzarono guardandosi ancora stupiti. Riempirono d’acqua calda la vasca, svuotando mezza boccetta di bagnoschiuma. Whasi amava stare a mollo ore, beh lui amava tutto quello che era sinonimo di relax. Lei preferiva la doccia e, mentre lui stava placidamente a mollo Mynte, avvolta in un enorme accappatoio di colore arancione, si sedette sul bordo della vasca.
“Whasi ora so quello che devo fare. Ero così abbattuta e confusa, ma ora so che devo svelarmi ad Halvor, che Mathilde ha ragione ed è comunque quello che ho sempre desiderato.”
“Cosa, cosa? No no no, fammi capire, abbiamo già infranto tutte le regole, tu che hai una relazione intima con un umano e per di più partorisci un figlio, e oggi poi abbiamo riempito il vaso, però dai…” le fece l'occhiolino, “che magnifico volo abbiamo fatto insieme eh eh.”
Mynte sollevò con la mano una bella dose di schiuma e con un soffio gliela fece volare sulla faccia, mentre soffiava sulla schiuma, il vento riagitò le foglie degli alberi.

Non era ancora l'alba quando Halvor decise di alzarsi per rifugiarsi fra i suoi amati libri. Nonostante si fosse svegliato con un senso di soffocamento, sentiva una nuova energia scorrergli nelle vene, come una rinascita. Non era più riuscito ad addormentarsi, nella mente le parole lette in quel foglietto a quadretti, la poesia.
Li osserverò danzando tra fiocchi di neve
Ali bianche volteggeranno nell’immortalità
in un fascio di luce
Ci sarò anche se non ci sarò
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Come già altre volte, spostò i libri dagli scaffali, sperando di vedere la lettera, ma di nuovo il suo tentativo fallì. Uscì dalla libreria e appena fuori sentì un frullio nell'aria, alzò lo sguardo a osservare alcuni uccellini, che volavano da un ramo all’altro, e ripeté a voce alta:
“Ali bianche volteggeranno... Ali bianche volteggeranno... Il gufo, il gufo bianco”, pensò. “Ma certo, Mathilde me lo ha detto: prova a parlargli! Oggi stesso andrò nel bosco, sì, farò così."
Ormai era giorno e, leggero come una piuma, andò da Mathilde che, come tutte le mattine, stava preparando l’immancabile tè.
“Questa mattina non sarò alla libreria”, le disse, “vado alla ricerca del gufo, vediamo se avrà qualche cosa da dirmi”.
Lei gli rispose con una risatina, e gli pizzicò la guancia.
“Vai, vai. Sto io in libreria”, gli fece l’occhiolino e versò l’infuso caldo e fumante nelle tazze fischiettando.
Quando Halvor uscì, contagiato dalla sorella, accennò un fischiettio pure lui, alquanto stonato per la verità, sembrava più un borbottare come un bubbolio. Sistemò meglio lo zaino sulle spalle, legò i lunghi capelli argento in una coda e, a passo svelto, raggiunse il suo angolo nel bosco e il suo amato albero.
Mentre ne carezzava il tronco percepì un forte odore di menta, si girò verso la fenditura e voleva carezzare pure quella, quando fu quasi accecato dalla luce aranciata che, dapprima debole, si era allargata fremendo, lasciando Halvor ipnotizzato fino a quando il bagliore si spense, facendo comparire il bellissimo gufo delle nevi.
Halvor fissò intensamente il gufo e lo guardò negli occhi, stupito nel vedere un occhio di un colore diverso dall’altro. Aveva cominciato a nevicare e il vento faceva mulinare i fiocchi che si sparpagliavano come coriandoli, ma Halvor non ci fece caso, sprofondato nell'azzurro dell’occhio destro del gufo, che lo faceva sentire come parte dell’oceano, mentre l’occhio giallo gli scaldava il cuore come fosse il sole.
“Forse sto di nuovo sognando”, pensò.
Fece un passo all’indietro, inciampò in una radice e cadde, battendo la testa su una roccia ricoperta di muschio. Perse i sensi e Mynte fu subito accanto a lui, gli carezzò la fronte, lo abbracciò. Halvor lentamente si riprese, sentendo le braccia di una donna che lo tenevano, sbatté le palpebre un paio di volte, quindi mise a fuoco la vista. Il volto della donna era vicinissimo al suo, lui la guardò negli occhi e per un attimo ebbe un tuffo al cuore: un occhio azzurro e un occhio giallo, come il gufo!!

“Ma come era possibile?” pensò.
“Sto ancora sognando!” bisbigliò fra sé.
“Halvor non stai sognando.”
Lui si passò una mano sulla fronte, si stropicciò gli occhi, si appoggiò su un gomito e si mise a sedere. Aveva smesso di nevicare. Fra le foglie, l’azzurro del cielo. Mynte gli prese le mani fra le sue, entrambi tremarono a quel contatto, eppure lui non cercò di allontanarsi, la guardò in volto e di nuovo sentì l’oceano e il calore del sole. Lei era come paralizzata, non sapeva più cosa dire, sentiva crescere dentro un’emozione e una gioia infinita nello stringere fra le sue le mani di Halvor: suo figlio!
“Chi sei?” bisbigliò Halvor.
Mynte, smarrita nel groviglio di quelle emozioni che l’avvolgevano, non rispose:
“Chi sei?” ripetè Halvor con un tono di voce più alto e, mentre la guardava, sentì nuovamente quegli occhi sondare la sua anima.
“Io... io… sono...”
No, non poteva dirgli così brutalmente che era sua madre. Si staccò da lui, si passò una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi. Halvor notò un luccichio alle spalle della donna, le sue braccia per un attimo gli parvero ali e, quando Mynte riaprì gli occhi, a Halvor ritornarono alla mente alcune parole di quella strana poesia: “… ali bianche... un fascio di luce…”
“Halvor”, sospirò, “Tu, tu non sai… io ho dovuto farlo”, un altro sospiro. “Halvor, guardami, non stai sognando, sono qui per spiegarti. Tu sei speciale, sono, ecco io… ti sembrerà impossibile ma tu… tu…” Mynte cercò di carezzargli il volto.
“Tu… tu sei mio figlio…” disse con un filo di voce, quasi un sussurro.
Halvor rimase paralizzato, sbatté più volte le palpebre, gli occhi gli bruciavano e sentiva il battito veloce del cuore pulsare nelle tempie.
“Tutto questo non esiste”, pensava, “è un sogno, è un sogno!”
L’immagine di Mynte era sempre più incorporea.
“Halvor ascoltami io... io sono… la tua vera madre. “
Ma Halvor non l’ascoltava più. Si portò le mani alle orecchie e cominciò ad urlare. Un urlo muto per la verità, solo la sua bocca era spalancata, un mulinello d’aria si sollevò da terra, alzandosi si trasformò in un vortice impetuoso che faceva fremere le fronde degli alberi, gli uccelli volavano spaventati, creando stormi impazziti nel cielo, nello stagno si formarono onde altissime, che andavano ad infrangersi sulla riva spazzando la vegetazione e sradicandola. Una saetta squarciò il tronco di un grosso abete, che sparò all’intorno schegge di legno come fossero proiettili.
Sfinito, stremato, Halvor svenne. Si accasciò come una bambola di pezza.
Ricominciò a nevicare.
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image credits: 1. Comfreak, 2. Angeles Balaguer, 3. Jills da Pixabay
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