MONICA MAZZANTI
copywriting - redazione testi
corsi di scrittura
Inchiostro di parole
Capitolo 5 - 25 anni prima
Simona
Nemuro, Giappone
Una donna stava dormendo. Il suo aspetto era incantevole, ma la sua mente era ingarbugliata nei sogni più tormentosi. Attorno alla sua testa posavano fluidi i grossi boccoli, che avevano il colore e la luce delle stelle. Simili ad anemoni, sembravano godere di vita propria. Improvvisamente aprì i suoi grandi occhi, rivelando uno sguardo splendidamente inquietante: un occhio era azzurro, l’altro giallo. Si alzò di malavoglia, arrotolò il suo futon e lo ripose nel suo armadio. Indossò uno yukata e si diresse in cucina, mise dell’acqua a bollire, infuse delle piccole foglie di tè sencha con qualche foglia di menta sua preferita.
La menta era l’unica certezza nella sua vita. Bevve un sorso dalla tazza fumante e sospirò.
“Come stai Mynte?” le chiese un uomo seduto sul tatami a gambe incrociate, di fronte a lei.
Era un uomo con i capelli neri e corti e molto ordinati. Si chiamava Whasi, che in giapponese significa aquila. Era magro, ma aveva un aspetto imponente, in parte per la sua muscolatura armonicamente tonica, in parte perché era alto, in parte per la sua postura solida ed eretta, ma soprattutto per il suo sguardo. I suoi occhi, piccoli e

lucidi, ma sorridenti, gli conferivano uno sguardo rassicurante e simpatico, che di solito faceva stare bene Mynte, le riempiva il cuore del ricordo di quanto in passato l’aveva fatta ridere con il suo senso dell’umorismo ostentatamente cinico. Era da sempre il suo fidato compagno, era il suo guardiano, il suo spirito guida, dolce e premuroso, ma allo stesso tempo sfuggente. Era incostante, per cui si alternava a essere dolce e premuroso e improvvisamente distaccato, inarrivabile, quasi volesse mantenere delle distanze. Nonostante fossero insieme da una vita, a volte Mynte aveva la sensazione di non riuscire a essere abbastanza importante per lui, e questo la faceva sentire abbandonata.
“Come sto? Terribilmente!” disse Mynte.
“Posso fare qualcosa per farti stare meglio?”
“No Whasi. E’ inutile, per quanti sforzi faccia, per quanto io sia consapevole che non potevo fare altro, non riesco a non pensare a quel piccolo esserino che piano piano si formava e si faceva sempre più ingombrante, muovendosi e cullandosi fiducioso nel mio ventre, nutrendo il mio cuore. Non potevo non innamorarmene. In cuor mio, lo sai, avrei solo voluto tenerlo sempre con me”.
“Sai che questo non è possibile”, replicò con fare indispettito.
“Sì, lo so! Lo so, che siam dovuti scappare! I nostri poteri andrebbero a sommarsi e a rafforzarsi, causando continui cataclismi. Conosco perfettamente tutti i rischi che correrei e so che metterei a repentaglio gli equilibri naturali, rimanendo accanto a un'altra creatura magica quanto me. Me lo hai già detto più volte. Questa è una condanna! Che senso ha l’immortalità, l’eterna giovinezza e i poteri magici, se poi non puoi tenere in braccio tuo figlio, se non per qualche giorno. Capisci? Mio figlio non sa come sono fatta. E per di più mi odierà nella convinzione di essere stato abbandonato per mia scelta. Almeno fino a quando non si accorgerà di non essere come le altre persone. E’ tremendo! Ma ora non ci casco più, non sarò più così sciocca da innamorarmi, non potrei sopportare nemmeno l’idea di rivivere tutto questo dolore."
“Magari! Sarebbe molto più facile anche per me, sai, abbiamo più di settecento anni, a questa età tutto questo stress comincia a gravare sui nostri splendidi corpi”, disse Whasi, indicandosi tutto con un gesto teatrale delle braccia e un sorriso, nel tentativo di far sorridere la donna.
“Non mi pare che ti sia dato un gran daffare. Eri sempre a Copenaghen a darti alla bella vita!”

"Ok ok, ho già capito dove vuoi arrivare. Però devi capirmi, essere il tuo guardiano non è mai stato semplice! Guarda qua!” continuò indicandosi l’unica ruga che aveva sulla fronte, questo è tutto merito tuo! "Avevo bisogno di un periodo sabbatico, una vacanza!”
“Alla faccia della vacanza! Che razza di spirito guida sei? Così mi sono sentita sperduta, per quanto tu non lo voglia capire, averti vicino per me è essenziale. Ero rimasta sola, ed ero anche arrabbiata. Ho incontrato Svend, affascinante, terribilmente dolce e oltremodo premuroso nei miei confronti. Inizialmente l’ho tenuto alla larga in ogni suo tentativo di approccio, non ne volevo sapere di andarmi a imbrigliare in una scomoda e inconveniente situazione amorosa con un umano. Sapevo che sarebbe stato come aprire la porta a una mandria imbizzarrita di guai catastrofici. Ma lui non rinunciava, e anche dopo diversi umilianti rifiuti, perseverava. Fino a una sera all’inizio dell’estate, nel bel mezzo di un violento diluvio, quando si presentò a me davanti al portoncino della mia casa nel bosco, con quello che dichiarò essere il suo ultimo addio prima di lasciarmi in pace. Era lì, davanti a me, bagnato fradicio, sull’uscio e… cosa aveva in mano? Una piantina, una piantina di menta, piantina i cui semi lui stesso aveva seminato e coltivato fino a far nascere i primi fiori, per me. Cioè capisci? Mi stava donando una piantina di menta! Non so cosa mi prese. L’ho trascinato nella mia dimora, il mio regno, la soglia che nessuno, a parte me e te, aveva mai avuto il diritto di varcare. Per una notte ho dimenticato te, tutto ciò che mi ero promessa di non fare, tutti i miei tentativi di autosabotaggio, che mi impedivano di lasciarmi andare, innamorarmi, essere semplicemente donna. In quella notte fu concepito Halvor. Ma non finì lì… nei mesi che seguirono mi innamorai davvero di lui. ”
“Hai fatto proprio bene a farti mettere incinta dal primo tontolone di passaggio. Se proprio ci tieni a una vita piatta con uno che a malapena si sa allacciare le scarpe, sei sempre in tempo a rinunciare all’immortalità e ai tuoi poteri. Dovresti rinunciare anche a me, ma mi sembra che tu te la sappia cavare benissimo.” “Comunque penso che scriverò a Svend, mi sento troppo in colpa per averlo lasciato così senza una spiegazione, qualcosa di mio che gli rimanga, un ricordo.”
“Sento che sarebbe un grosso errore, ti prego, non farlo!”
“Ci penserò.”
Whasi cercò di distrarre Mynte da una discussione stava prendendo una piega che lo turbava.
“Com’è il guardiano a cui hanno affidato il tuo erede? Cosa ne pensi?”
“Adorabile! A parte le orecchie, che non è riuscita a umanizzare proprio bene. Ma credo che farà un ottimo lavoro con lui. È un’allegra e paffuta bambina, già si vede che è simpatica. Mi sono subito affezionata anche a lei nei pochi giorni in cui l’ho potuta tenere. Mi sembrava di sentire il cuore colmo di doppia gioia, come se fossero stati davvero i miei gemelli!”
“Mynte basta, comincia a darmi la nausea tutto questo sentimentalismo! E poi, con tutte le persone a cui potevi darli, mi spieghi perché proprio a una suora? Non voglio essere io a ricordarti il numero di suore che in passato hanno tentato di condannarti al rogo.”
“Non lo avrei mai fatto, se fosse stata una suora normale, figurati! Suor Freja è suora quanto me! Non ti sto a raccontare nei particolari, ma diciamo che in gioventù era uno spirito libertino. Diciamo che adempiva egregiamente ad almeno due cardini di un’altra trilogia: sesso, droga e rock’n roll.”
“Ah!”
Whasi provò un secondo a visualizzare una suora trasgressiva, ma si stancò subito e
cambiò nuovamente argomento:
“Comunque ho sempre desiderato vivere in Giappone, si mangia molto meglio. In Danimarca ci si salvava solo grazie ai soliti panini col salmone e il ris a l’amande, ma non ne potevo più. Cerchiamo di rimanere qui per un bel po’, dopotutto è il tuo paese di nascita, vorrei visitare qualche tempio, imparare a cucinare sushi come si deve.”
Whasi si accorse che la donna si stava di nuovo incupendo, trascinata dai suoi pensieri malinconici, e disse:
“Mangia! E’ una zuppa di miso, ti farà bene, è buona e sarà il nostro nuovo sapore di una nuova vita insieme. Dai, coraggio Minto, sarai una menta giapponese”, cercò di farla sorridere con il gioco di parole, quindi aggiunse:
“Ci troveremo bene qui, ne sono convinto. Ho voglia di starmene un po’ in pace con te”.
Attraverso il shōji si intravedeva la luce benefica e rossa del sole, che si accingeva a tramontare. Una lacrima rigò il volto della donna. I suoi occhi si spensero. Si limitò ad aggiungere:
“Vado a fare un giro”.
Prese le sembianze di un enorme e maestoso gufo bianco delle nevi e volò fuori, oltre il giardino, oltre il sole.

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