top of page

Traduzioni

Giocoliere di parole, il traduttore. Scombinare e ricomporre non è cosa facile. Quanto è avvilente continuare a scontrarmi con la leggerezza di quanti (e sono in molti) sottovalutano il lavoro del traduttore.

Spesso mi viene chiesto: “Come si dice in inglese…?” E qualche volta mi capita di rispondere: “Non si dice.” Immancabile, segue lo sbotto: “Impossibile!” E invece è proprio così. Non si dice… allo stesso modo.

Non si dice allo stesso modo perché le lingue sono diverse (così come lo sono le culture). Tradurre non significa trasporre parole, bensì riuscire a comunicare lo stesso significato. Per farlo è spesso necessario usare parole ed espressioni diverse, arrivando a modificare il ritmo della frase, che nasce dall’intreccio stesso delle parole e determina il modo in cui il significato arriva al lettore. Se per tradurre esattamente una parola o un’espressione parafraso e allungo, spiego meglio, ma non riuscirò a sortire lo stesso effetto, e l’equilibrio della frase risulterà irrimediabilmente compromesso. E come rispettare i suoni capaci di evocare, le onomatopee o le assonanze, di cui la lingua inglese (per esempio) è molto ricca… Per non parlare della quasi impossibilità di tradurre slogan e testi pubblicitari per un’ulteriore difficoltà, quella di trasporre i contesti culturali.
 

Fra le tante cose che mi è capitato di leggere sulla traduzione, una più delle altre spiega con chiarezza queste difficoltà. Francesco Pacifico è stato molto abile nell’usare la metafora di un cuoco italiano alle prese con la preparazione di un piatto thai. Avrebbe bisogno del blue cheese, ma a disposizione ha solo il gorgonzola; la ricetta richiede l’uso di un wok per fare uno stir-fry di verdure, ma in cucina ci sono solo semplici padelle… e lo stir-fry diventa un bel "soffritto da sonnacchiosa domenica italiana"1. Ecco cosa succede al traduttore: le parole sono ingredienti diversi da lingua a lingua, da cultura a cultura, e vanno amalgamati con sapiente alchimia. Come rendere quella sfumatura di significato, senza spezzare il ritmo della frase, se l’equivalente più vicino a quella parola non traduce esattamente la stessa cosa, dove fermarsi, cosa è lecito e cosa non lo è?

Un altro esempio di Pacifico riguarda una frase del tutto banale, di uso quotidiano, ripetuta di continuo dagli americani: “Thank you, I really appreciate it”. Come tradurla? ‹‹“Grazie, lo apprezzo molto”. Forse no, forse ogni volta dovrai cambiarla. “Grazie, molto gentile”. “Grazie, te ne sono grato”. “Mi ha fatto molto piacere”2.››


1 Pacifico, Francesco, “La strana vita del traduttore”, Scrivere, De Agostini, n. 32

2 Ivi

bottom of page