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Capitolo 17 - Tra libri e colori

 

Monica

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Il vocio femminile arrivò all’orecchio di Halvor, intento a catalogare la fornitura di libri appena arrivata. Alzò il capo, teso a carpire di chi fossero quelle voci. Assorto, corrugò le sopracciglia. Gli sembrava di aver sentito lo squittire di Mathilde… ma chi erano le altre? Attese qualche secondo, poi si alzò e, un po’ di malavoglia, entrò nell’atrio. Fu così che si trovò davanti le tre donne.         
  Seguì un silenzio di meraviglia, tra i raggi di luce che filtravano in mezzo ai rami dell’olmo.         
  Freja si staccò dal terzetto, andò diritta verso Halvor e, senza esitazione, gli buttò le braccia al collo. Fu un abbraccio intenso, che teneva lontano il tempo. Quando si staccò, gli accarezzò il volto, la sua mano scese dal capo sulla gota, lentamente. Lo guardò con estrema, mesta dolcezza, quasi a rubargli quel turbamento, quasi a esecrare tutte quelle menzogne. Quindi, con sua sorpresa, fu lui a tirarla verso di sé. Questa volta, quasi con impeto, ma lo scambio fu ancora caldo e sincero.     
  Non ci fu bisogno di spendere parole.    
  Mynte sorrise.        
  “Come stai, Halvor?” gli chiese, addolcendo lo sguardo.
  “Sto”, rispose lui.  
  “Volevo vedere la tua libreria ad altezza di donna, dall’alto è un’altra cosa…” disse con un imbarazzato risolino.
  “Eh già…” replicò Halvor. “Vieni, ti accompagno.”    

   Con grande orgoglio, portò Mynte nelle varie sale e le spiegò il significato della divisione in colori.                  “Wow, solo tu potevi concepire una cosa così bizzarra. Mathilde mi ha detto delle molte menzioni e dei riconoscimenti. Sono orgogliosa di te.”        

   Quindi, prese coraggio e aggiunse:      

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  “E’ giunto il momento di spiegarti la simbologia di questi strani disegni sulle pareti, che tu stesso hai dipinto, in modo del tutto inconscio. Freja non sapeva, non poteva sapere. Questi simboli sono formule magiche. Dentro di esse c’è anche la tua magia. Ecco perché quello stesso gufo, qui rappresentato, riappare nei suoi tatuaggi. Quel gufo sono io! Freja e Benedik sono solo dei predestinati che, a loro insaputa, hanno percepito la magiche vibrazioni e sono stati coinvolti in questo incantesimo. Quando rimasi incinta di te, mi fu chiara la strada che dovevo seguire, eppure ora c’è

qualcosa che non colgo in pieno. Sì, sono una strega, ma ho violato le leggi della stregoneria, e ho perso parte dei miei poteri.”

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  Mynte rimase a girovagare tra le varie sale. I suoi occhi seguivano i simboli delle formule, come ad annoverarle, come a carpirne i significati segreti. L’occhio azzurro individuava il simbolo, quello giallo lo decifrava. E così via, di formula in formula.  
  Poi, all’improvviso, l’
occhio azzurro si fermò. Non andava più avanti. Cosa le stava succedendo? C’era la cerimonia della sua nascita, c’erano le foglie di menta, c’era un tempio giapponese, e poi un’aquila, quell’aquila prescelta per farle da guardiano. Ma lì si fermava. Da quel punto non riusciva più a decifrare.          
  Si trovava proprio nella sala arancio, quella da cui tutto era scaturito. I libri sulla creatività, sul piacere, sul sesso… il secondo chakra, quello sacrale. Lì si fermava. Ritornava tutto: l’amore per Svend, la nascita di Halvor… ma non riusciva più a proseguire.
Perché?  
  D’impulso corse nella sala verde, la sala dei libri sulla capacità di amare, quelli del chakra del cuore. Ebbe un’improvvisa voglia di rivedere Svend. E il suo cuore di donna prese a battere come un tamburo in una notte senza stelle, non riusciva a sopportare quella fisicità a cui non era abituata. In quel momento pensò a ritrasformarsi in gufo e volare via… Ma non poteva, non poteva, come avrebbe potuto deludere e tradire ancora in un momento così delicato dello scioglimento di tutta la pazza storia.         
  Si fece forza. Spinta sempre dall’istinto, si recò nella
sala indaco, quella del chakra del terzo occhio, dove si trovavano i libri sulla spiritualità. Doveva ritrovare quel suo suono interiore, quelle percezioni di strega, quel sé extrasensoriale.        
  E lì,
qualcosa successe.          
  Sul muro rivide l’aquila e vide un
fuoco. L’aquila scendeva in picchiata. Vide la menta. Poi la mandragola.   L’aconito. Lo stramonio.     
  D’istinto si riprese. Doveva fare in fretta, ormai era
passato troppo tempo dall’incontro con Halvor. Cosa sarebbe potuto accadere con la somma dei loro poteri? Non poteva mettere gli altri in pericolo.  Ritornò sui suoi passi.
  “Eccoti Mynte, giusto in tempo per una tazza del buon tè di Halvor… Il sentiero delle stelle, uno di quelli che gli hai mandato tu dal Giappone… hihihi”, fu Mathilde a parlare, mentre versava il tè nelle cha-wan.            
  “Miei cari lo so, ma sapete che non posso trattenermi troppo con Halvor, meglio che vada, ma prometto che tornerò presto.”        
  Un lampo di luce abbagliante… due ali bianche sbatterono, librandosi in alto. Attraverso il lucernario aperto, scomparve.

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Nemuro, Giappone 

Ed eccola lì. China sull’intruglio. La mandragola ribolliva. Aggiunse un pizzico di aconito. Veloce mescolò. Quindi fu la volta dello stramonio. Sopra, a suggello, le foglie di menta. Tenne la tazza fra le mani, per tre volte passò il palmo sul bordo. Inalò il forte odore. Bevve un sorso della pozione. Recitò la formula.         
  “Ora devo solo attendere.” 
  Si mise nella posizione del loto e chiuse gli occhi. Le droghe contenute nell’infuso iniziarono ad avere effetto. Si vide prona sullo stagno. E lì, attraverso il leggero rifrangersi dell’acqua,  prese vita la visione. Dapprima sfuocata, poi sempre più nitida.

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   Un gufo bianco delle nevi era intrappolato in una gabbia dorata. Un’aquila volava sopra la gabbia in ampie volute. Poi un giardino, tipicamente giapponese, con acqua, piante, roccia e sabbia. Una piantina di menta cresceva ai margini del piccolo ruscello. La sua fragranza, fresca e frizzante, si spandeva nell’aria. L’aquila volteggiava sopra di lei, quindi scendeva e strappava una fogliolina, per poi volare via…

​

   Quella sera la cena fu alquanto frugale, ma tipicamente giapponese, zuppa di miso e gyoza al vapore.   
   Addentando un raviolo, Whasi esclamò ridendo:
   “Buonissimi! Sei diventata proprio brava a cucinare giapponese, c’hai messo un po’… ma ora sei super”.
   Ma Mynte rimase seria, sembrò non recepire il complimento sincero di Whasi.        
   “Ti vedo seria, cosa c’è che non va? Sei per caso tornata da Halvor?”          
   “… e se anche fosse?”       
   “Ah vedi te… ti ho già detto come la penso…” 
   “Nel bosco di Farstrup ho intravisto un’aquila.
Eri per caso tu?”         
   “… e se anche fosse?”       
   “Vedi te!” replicò Mynte con piglio deciso, rifacendogli il verso.         
   Il ricalco incrociato delle battute innervosì Whasi. Anche il suo viso si indurì in una cupa espressione. La percezione che tra loro qualcosa era ormai
irrimediabilmente cambiato divenne da semplice supposizione, lancinante consapevolezza.            
   “Bastardo! Come hai potuto farmi questo?”      
   “Di cosa stai parlando?”  
   “A Farstrup ho iniziato a comprendere, ho colto indizi, era scritto lì, tra i simboli sui muri della libreria, come ho fatto a non capire prima? Io ti ho sempre creduto con la tua messa in scena della somma dei poteri. Perché mi hai fatto questo, perché mi hai ingannata?”         
   Whasi rimase in silenzio, abbassò gli occhi, li socchiuse, quindi parlò.           
   “È successo…  non doveva succedere, ma è successo.”
  Poi, lo sguardo riuscì magicamente ad alzarlo, gli occhi si aprirono  e, guardandola intensamente, mormorò:            
   “Io…
ti amo!”  
   Lei ebbe un attimo di esitazione, le orbite spalancate, ma presto si riprese:    
   “No! Tu ami solo te stesso. Chi ama,
si sacrifica. Così come ho fatto io!” gli gridò in faccia, poi aggiunse:         “Presuntuoso, arrogante e fottutamente bugiardo. 25 lunghi anni di menzogne!”      
  Un lampo di luce abbagliante. Ed eccola gufo. Tre forti bubbolii. L’occhio azzurro saettò a destra, dal giallo
fuoriuscì una saetta, che colpì Whasi nel centro della fronte. Si librò in alto e, in un battere d’occhio, scomparse.
   Folgorato dalla frecciata, Whasi gridò, aprendo le braccia, che divennero enormi ali nere, e con un ultimo e intenso fremito, si trasformò nella splendida aquila reale. Veloce, anche lui, schizzò via.

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image credits: 1. Eli Digital Creative, 2. Roger YI da Pixaby                                                                                                  

                                                                                                                                                                         Capitolo  18

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