MONICA MAZZANTI
copywriting - redazione testi
corsi di scrittura
Inchiostro di parole
Capitolo 2 - Al bar Lett
Patrizia
Halvor era alto, dal sorriso mite, nonostante i 25 anni di età, sembrava un ragazzino con occhiali troppo grandi per il suo viso. La sua espressione non era mai severa. Aveva capelli colore dell’argento, che teneva legati in una coda. Se si fosse presentato con un cavallo bianco e un mantello azzurro, sicuramente l’avrebbero preso per un principe. Un principe azzurro con gli occhiali però, un principe azzurro miope, un principe azzurro timido e sorridente.

Halvor amava la quiete dei suoi libri e della natura. Schivo, discreto, quasi taciturno, a parte quando qualcuno chiedeva un consiglio per acquistare o regalare un libro. Allora gli si illuminavano gli occhi, faceva qualche domanda: il colore preferito, l’animale preferito, l’età, l’iniziale del nome. Ricevute le risposte, socchiudeva gli occhi, sembrava quasi annusasse il cliente, ma forse annusava solo l’energia che ne sentiva provenire. Poi iniziava a raccontare un aneddoto, un breve racconto, una piccolissima storia, tutte con una morale, e dava il suggerimento su quale libro scegliere. Indicava il colore del libro, la posizione, o il libro celato nel foulard, quello per i più coraggiosi.
Chi lo aveva definito sociopatico, pazzo, visionario, in realtà non lo aveva mai né visto né conosciuto, e non era mai entrato in libreria. Parlava così, tanto per dire, e ognuno aggiungeva poi un dettaglio, una virgola, un punto esclamativo per rendere più misteriosa ed anche paurosa l’immagine del librario di Farstrup.
La sorella gemella di Halvor, Mathilde, era piccola di statura, con le orecchie leggermente a punta e un piccolo naso quasi rivolto all’insù. Sembrava un elfo scappato dalla foresta. Mathilde chiacchierava sempre, e rideva spesso, e cantava anche, ma questo lo faceva lontano dalla libreria.
Cantava mentre andava in paese a fare le commissioni, mentre cucinava, mentre rassettava. Ultimamente si era messa anche a fischiare. La cosa buffa era che alcuni uccellini le rispondevano, cioè fischiavano pure loro, specialmente in primavera e alle prime ore dell’alba, che strana coincidenza…

Crescendo, Halvor a poco a poco prese possesso della libreria, mentre Mathilde era la deliziosa “Mary Poppins” di casa Petersen. Ognuno aveva il suo spazio e coltivava la propria individualità o, come si dice oggi, i propri talenti.
I signori Petersen si ritenevano fortunati ed erano veramente felici di avere seguito l’invito di suor Freja. Sapevano che il figliolo veniva considerato da alcuni strambo, ma non se ne curavano. Erano fieri di come Halvor aveva modificato i locali della libreria e se anche i cittadini di Farstrup ignoravano l’esistenza dei libri preferendo le chiacchiere e i pettegolezzi, si sentivano appagati dalle visite dei turisti.
Ormai alquanto anziani trascorrevano molto tempo passeggiando nel bosco e in riva allo stagno, insomma, si godevano le meraviglie della natura e un paio di volte al mese si incontravano in città con Suor Freja, con la quale avevano stretto una profonda amicizia. Lei era una suora davvero particolare… alta, con un bel viso tondo, su cui ondeggiavano ciuffi di capelli ribelli al velo, ormai parte integrante della sua persona. Aveva sottili rughe agli angoli degli occhi, dalle iridi azzurre, che riapparivano intorno alla bocca carnosa, sempre pronta al sorriso. Una pallida cicatrice, come una virgola, solcava la fronte da metà fino alla tempia. Sulle belle e lunghe dita affusolate, troneggiavano splendidi disegni di serpenti e fiori, tatuaggi risalenti a una antica gioventù…
Mathilde doveva assolutamente andare al centro commerciale per fare la spesa e quella mattina di marzo si unì ai genitori, che andavano in città per il consueto appuntamento con suor Freja. Già pregustava la cioccolata in tazza con la panna accompagnata da un piatto ricco di pasticcini, che lei definiva super buoni. Sarebbe stato il premio dopo la spesa, anche se in realtà per Mathilde fare la spesa rappresentava un divertimento: lei sceglieva gli articoli e il commesso avrebbe inscatolato tutto e portato all’auto, quindi zero fatica e solo e puro passatempo. Matildhe trovava divertente qualsiasi occupazione e sapeva trovare appagamento in piccoli gesti ed abitudini.
Quella mattina anche il sindaco Michael Madsen andava a prendere un caffè corretto con doppia dose di rum al bar accanto al centro commerciale. Era convinto fosse suo dovere intrattenersi con i cittadini che lo avevano eletto, anche fuori dagli uffici e dall’ufficialità e non disdegnava l’ottima pasticceria del Bar Lett. Non essendo alto di statura pensava di compensare camminando sempre a testa alta e con il petto infuori e, ormai vicino alla cinquantina, ci teneva particolarmente ad avere barba e capelli sempre perfettamente in ordine, così si recava dal barbiere una volta a settimana. Inoltre amava vestire in modo sobrio ed informale, ma sempre con abiti di ottima qualità.
Michael Madsen non aveva abbandonato l’idea di chiedere aiuto ad Halvor per ridipingere i muri del municipio, aveva anche fatto un piccolo prototipo del disegno che gli sarebbe piaciuto vedere dipinto, ma non ne era del tutto convinto. Insomma lui ci sperava proprio che Halvor cambiasse idea. Così quando vide i signori Petersen seduti al bar, senza alcun indugio, si avvicinò al gruppetto, salutò pomposamente e con il suo sorriso migliore chiese se poteva offrire loro lo spuntino. Non poterono rifiutare, in fondo era il sindaco, poi perché non farlo accomodare con loro.
Nel frattempo Halvor stava sistemando alcuni volumi nella sala arancione, quando ne notò alcuni fuori posto, mentre li prendeva per poi ricollocarli in modo corretto, un foglio a quadretti scivolò a terra. Lo raccolse e notò che era scritto a mano, con una penna di colore blu, la calligrafia un po’ infantile e ordinata. Lo piegò e lo mise in tasca, ma subito ci ripensò. Appoggiò i libri su un tavolinetto, si sedette sulla poltroncina di fianco e cominciò a leggere:
Ho dovuto farlo – iniziava così – mio malgrado, nonostante il mio cuore si stringesse nel petto, mentre annusavo quel neonato che profumava di amore e di gioia. Avrebbe ignorato per tutta la vita chi fossero realmente i suoi genitori. L’ho avvolto nella coperta di lana che avevo sferruzzato apposta per lui, l’ho baciato sulla fronte. Dormiva beato dopo la poppata. L’ho adagiato accanto alla sorella, che agitava le manine nel sonno, che spuntavano dallo scialle con cui l’avevo avvolta. Ho lasciato accanto a loro tutto il corredino e, prima di cambiare idea, ho girato le spalle e sono corsa via…
Li osserverò danzando tra fiocchi di neve
Ali bianche volteggeranno nell’immortalità in un fascio di luce
Ci sarò anche se non ci sarò.
Halvor ebbe un tuffo al cuore, gli tremavano le mani, girò e rigirò quel foglietto, cercò un nome, un luogo… ma nulla… solo altre parole scritte con una calligrafia infantile, ordinata.

Al bar Lett il sindaco stava intrattenendo i Petersen e suor Freja. Raccontava aneddoti più o meno divertenti mentre sorseggiava il suo caffè corretto con doppia dose di rum. Anche Matildhe e suor Freja bevevano la loro cioccolata in tazza sollevando la tazza quasi in contemporanea, mentre i signori Petersen sorridevano educatamente al sindaco, immaginando perfettamente dove alla fine volesse giungere Michael Madsen, che in quel momento, guardando Mathilde e suor Freja disse:
“E’ incredibile: tu sei sempre sorridente, non assomigli per niente a tuo fratello Halvor, verrebbe quasi il dubbio che non siate fratelli…”
E scoppiò in una risata perché la frase voleva essere simpatica e attirare le loro simpatie, ma il gelo scese fra i quattro.
Mathilde guardò negli occhi prima i genitori e poi suor Freja, poi guardò il sindaco, addentò un pasticcino e si mise a ridere pure lei, seguita dagli altri. Una risata di circostanza per la verità perché, ad occhi attenti, non sarebbe sfuggito il pallore dei visi e il leggero tremolio delle mani di Mathilde.
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