MONICA MAZZANTI
copywriting - redazione testi
corsi di scrittura
Inchiostro di parole
Capitolo 9 - Il gufo sbagliato
Simona
“Sbrigati, sbrigati, stanno arrivando!”
Preso da moto irrefrenabile, Halvor camminava avanti e indietro, lo sguardo perso, le braccia gesticolanti.
“Tranquillo, tranquillo, tutto sotto controllo”, le rispose Mathilde, quasi canzonandolo.
Grandi e colorati cuscinoni erano già stati posizionati a cerchio nell’ampia hall della libreria. Il ticchettio di una pioggia insistente faceva da sottofondo, battendo sulle ampie vetrate, che ricoprivano parte del tetto. Tic, tic, tic, sembrava quasi piovesse dentro e invece, magicamente, quella pioggia frenava, come a infrangersi nel nulla. L’effetto era davvero suggestivo, con le fronde degli alberi a incorniciare la scena.
A interrompere quel magico momento, lo schiamazzo di una colorata orda di bambini festanti, che irruppe felice dall’uscio.
Si trattava della solita scolaresca che, a rotazione, ogni mese veniva in visita alla Libreria nel Bosco. Ci si lasciava alle spalle qualsiasi tipo di preoccupazione e ci si lasciava andare alle ludiche attività in compagnia dei bambini sempre meravigliati dall’edificio stesso e divertiti dalle appassionanti letture ad alta voce di Mathilde.

Lì Mathilde dava il meglio di sé con letture ad alta voce, animava ogni personaggio con l’abilità di un’interprete professionista, per non parlare degli animali e soprattutto degli uccellini, che lei imitava alla perfezione. Quando lo voleva era in grado di fare sganasciare i piccoli dalle risate, o fargli battere i denti, mentre tremavano nervosamente dalla paura, oppure gli faceva sbaragliare record mondiali nei tempi di apnea, durante i racconti con maggiore tensione.
Halvor, notoriamente introverso e timido, non si lasciava mai andare nell’intrattenimento dei bambini, ma era sempre gentile con loro, li accoglieva sempre molto volentieri nel suo regno e ne era divertito ma, soprattutto, questo momento di smarrimento lo aiutava a risintonizzare la mente su frequenze più positive e spensierate.
Ma questa volta, Mathilde non aveva mai staccato il pensiero da tutta la conturbante faccenda che ormai tutti inquietava e, appena finito di intrattenere i bimbi, approfittò di un momento di distrazione per dileguarsi e andare a cercare il gufo nel bosco. Aveva fretta di risolvere il malessere di Halvor e, per evitare che si smarrisse nei vortici delle sue emozioni e dei suoi interrogativi, un confronto con Mynte era diventato necessario e urgente.
Sara, una bambina molto curiosa, si era allontanata dal gruppo, avventurandosi nel bosco. Arrivò in prossimità di un piccolo spiazzo dove vide Mathilde intenta a guardare in alto tra gli alberi, continuando a fare strani versi, impegnandosi in un assolo nevrotico:
“Buhu, Buhu, Buhu!”
Ora in tono pacato, poi:
“Buhuhhuhu, Buhuhuhuhuhu, Buhuhuhuuuu!” con un accento di isteria.
Improvvisamente un enorme gufo reale si avventò sulla povera Mathilde.
“Buhuhuhuh! Buhuhuhuhu! Buhu! Buhu!”
Sembrava solo un avvertimento, i gufi reali potevano rivelarsi molto pericolosi. Ma la ragazza continuava a rispondere in gufese:
“Buhuh! Buhuh!”
Una scena patetica, che fece sembrare Mathilde una pazza agli occhi della bimba.
“Ok forse è meglio che me ne torni in libreria”, pensò la fanciulla sconvolta. “Mathilde mi è sempre sembrata una a posto! E io che mi immaginavo da grande come lei a leggere storie ai bambini… per carità! Se leggere tanto fa andare fuori di testa in quel modo, io non leggerò mai più un libro! Giuro che non leggerò più!”
I suoi pensieri correvano imbizzarriti.
“Stai a vedere che a furia di impersonare così bene uccelli nelle sue letture, si è convinta di essere lei stessa un uccello!”
La sua stima per Mathilde stava colando a picco.
“Dicono tanto del fratello, ma anche lei non scherza!”
La bambina ovviamente non poteva capire questo linguaggio tra Mathilde e il gufo, ma in realtà tutto quel rabbioso bubbolare aveva un senso.
“Prenditi questo, piccola impertinente!” gridò il gufo sferzando una beccata sulla testa della povera Mathilde. “Non lo sai che c’è chi lavora di notte! Ti sembra normale arrivare qua a fare tutto questo baccano? Tornatene tra quei falliti della tua razza!” il gufo continuava a imprecare, schiaffeggiandola sulla testa a suon di colpi di ali.
Mathilde si dimenava, cercava di pararsi la testa ed evitare questi colpi, cercando di discolparsi da qualsiasi capo di accusa:
“Ma no, ma no, dev’esserci un malinteso, mi scusi sir, non era con lei che volevo comunicare!”
Il gufo furioso aveva capito, ma:
“Buh! Buh! Buh!” volle chiarire la sua furia per essere stato privato del suo solito riposino, schiaffeggiandole la testa con le sue ali poderose.
Mathilde era atterrita e tutta arruffata, non le era mai capitato un inconveniente simile in passato. Si risistemò i capelli e cercò di accertarsi che fosse ancora tutta intera.
Accanto a lei si senti di nuovo:
“Buhuhuh! Buhuhu!”
Lo spavento e il timore che il gufo fosse tornato a ribadire con qualche beccata furono tali che Mathilde con un salto si mise sulla difensiva.
“Buhuhuhuh! Mi chiamavi?” disse il gufo bianco. “Ti vedo sconvolta!” aggiunse, “tutto bene?”.
“Sì, sì tranquilla Mynte, tutto procede alla perfezione… anzi no! Non va bene per niente! Non so più che fare con Halvor, sta entrando in una crisi profonda, è turbato dalle tue manifestazioni sottoforma di gufo, ha trovato, non chiedermi come, una tua lettera, che scrivesti quando ci lasciasti a Freja, ha trovato il portale luminoso e non ne capisce il significato, sa solo che lo vede solo lui. Già prima arrancava per non farsi scalfire da tutte quelle dicerie dei compaesani, che lo descrivono come un povero strampalato, anche perché in cuor suo ha sempre saputo di avere qualcosa di diverso. Ma ora il suo turbamento e il suo smarrimento si stanno facendo pericolosi e potrebbe arrivare a un punto di non ritorno. Penso sia ora che tu entri in azione, devi dirgli tutto altrimenti rischiamo di mandarlo ancora più in alto mare.”
“Impossibile, c’ho provato, ma non ce l’ho fatta! Mi son fatta vedere, ma non posso! Non capirebbe! E’ troppo!”
“Senti! Sei tu che mi hai chiesto di essere il suo guardiano. Ora devi ascoltarmi e farmi fare il mio lavoro.”
“Ma come faccio? Vado lì e dico: ‘Ciao sono tua mamma, scusa se non mi sono troppo disturbata per te negli ultimi 25 anni, a proposito, io sono anche il gufo che di tanto in tanto ti spia, così, giusto per privarti della tua intimità. Ah! dimenticavo, sono una strega e anche tu possiedi

poteri magici, ma ora vado perché sennò potremmo essere travolti da uno tsunami o essere schiacciati da un meteorite. Ciao!’ No, no no non si può, non si può. E Whasi? Io non dovrei neanche essere qui, invece di parlare con te, dovrei essere dall’altra parte del mondo ad arrotolare involtini primavera! E non mi piacciono nemmeno gli involtini primavera, sono cinesi, preferisco piatti tipici del Giappone, ma la tempura mi viene moscia e so fare solo quelli!”
Mynte si stava sempre più agitando e iniziava a vaneggiare.
“Ora calmati Mynte, cerchiamo di ragionare e mantenere la calma, l’emozione e anche la paura di parlare con tuo figlio per la prima volta può essere giustificata. Ma glielo devi, è per lui che dovrai compiere questo importante passo. Il rischio che non la prenda molto bene in effetti c’è, ma meglio arrabbiato che impazzito.”
“Non so Mathilde… come fare? Cosa dirgli? Dovrei prepararmi un discorso, dovrei dirlo a Whasi!” singhiozzava Mynte.
“No! Whasi no! Te lo impedirebbe ad ogni costo, fallo e basta, e in fretta. Mettiamo fine a tutta questa storia. Halvor metabolizzerà, incasserà il colpo, farà i conti con la sua vera natura e finalmente capirà qual è il suo ruolo in questo mondo, che ancora oggi fatica a comprendere.”
Mynte si convinse:
“Eh sia! Mi mostrerò a mio figlio non appena troverò il coraggio!”
Quando Mathilde rientrò, la scolaresca si accingeva a ripartire, lei e Halvor salutarono uno ad uno tutti i bambini.
“Ciao Sara!” sorrise cordialmente Mathilde “spero che tu ti sia divertita tanto anche oggi! Ma non hai comprato un libro oggi? Ti piace tanto leggere!”
Sara la fissò con uno sguardo di commiserazione, ma non rispose e se ne andò scrollando tristemente la testa.
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