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about

My story

 

Mi considero fortunata, la mia avventura professionale nel mondo della scrittura ha avuto inizio nella città that doesn't sleep, quella New York generosa, poliedrica, cosmopolita, da sempre villaggio globale, dove i miei little town blues presto si sciolsero.

 

Appena ottenuta la green card, iniziai a lavorare come traduttrice. Si trattava di una grande agenzia, luogo bello e stimolante. Lo stesso progetto veniva eseguito in molte lingue, facendo quello che in seguito venne definito localization. Incontrai persone di tutto il mondo, tra lo scambio ininterrotto di idee, in un continuo confronto. Ci dedicavamo all’intero iter redazionale: dalla traduzione all’editing, dall’impaginazione alla correzione delle bozze. Era un lavoro ad ampio raggio, che ci coinvolgeva in diversi aspetti e così, sul campo, a poco a poco, iniziò la mia gavetta.

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Avevamo account importanti:

Jaguard, American Airlines, Starwood Hotels, Estée Lauder, Miramax, MoMa, per citarne alcuni. In Italia non esistevano né corsi specializzati né master e, anche a livello universitario, non si poteva aspirare ad alcun riconoscimento specifico. Una laurea in lettere raccoglieva tutte le possibili aspirazioni di chi voleva cimentarsi in campo di scrittura e comunicazione (tuttalpiù potevi sperare di mettere insieme un piano di studio di tuo interesse).

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Arrivarono poi gli incarichi come copy. Ricordo ancora le prime avvincenti campagne di AT&T (il più grande operatore telefonico americano).  Per me erano i primi passi nel mondo della scrittura creativa e la mia sfera professionale continuava così ad ampliarsi con nuove esperienze.

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Internet era ormai diventata di importanza strategica: ogni ditta – grande e piccola - reclamava il suo spazio sul web. Se da una parte il web ha inflazionato e degradato un settore di difficile collocazione professionale, dall’altro ha creato nuovi spazi in alternativa al classico copywriting per l’azienda, allegando una nuova dimensione sempre più specializzata: arrivava così il webwriting.

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Poi i miei  little town blues si risvegliarono, ma  ora sapevo goderli e apprezzarli. Ritornai in Italia con acquisita convinzione, ma anche con la consapevolezza di scontrarmi con un mondo del lavoro molto diverso.  Spesso mi domando se avrei mai finito per lavorare nell’affascinante mondo della scrittura se fossi rimasta in Italia, paese schivo di spazi e  idee, lento e burocratico, che toglie voglie ed entusiasmo anche ai più determinati. Never mind… come in tutte le storie che si rispettino, accettai le brusche svolte e i colpi di scena, l’importante era continuare con serietà e dedizione, sempre guidata da inguaribile entusiasmo.

"I work with  words.

 I make words work".

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