MONICA MAZZANTI
copywriting - redazione testi
corsi di scrittura
Inchiostro di parole
Capitolo 20 - Un misterioso arcobaleno
Monica e Patrizia
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Halvor sembrava una statua, osservava tutto senza riuscire a fare o dire nulla, Mathilde gli prese una mano per allontanarlo dalle fiamme, che velocemente si facevano strada, ma egli non si mosse, continuava a osservare il fuoco. Ma quando Mynte lo raggiunse e gli sussurrò all’orecchio:
“Puoi farlo, ti prego, fallo”, lui raccolse una manciata di neve e la gettò verso le fiamme, e proprio in quel momento, qualcosa accadde. Strisciate di colore, come sprazzi di luce variegata, si alzarono ad arco tra le fiamme, creando una nebulosa dalle svariate sfumature.
Fu allora che Mynte, sorreggendo il corpo dell’aquila, con passo solenne avanzò verso quello scenario incandescente. La testa dell’uccello, penzolante da un lato, era come abbandonata a quell’abbraccio, al tempo stesso, disperato e altero. Quel suo incedere rendeva ancora più lugubre la scena.

“Mamma nooo!”
L’urlo disperato di Halvor emerse da quella bolgia.
Svend, incredulo, guardava, come mummificato.
Mynte entrò tra le fiamme. Attraverso quei fantasmagorici effetti di luce, come in un estremo rituale, la intravidero alzare le braccia al cielo e gettare l’aquila in alto, nel suo ultimo volo, verso quell’arco strisciato di colore.
“Aspettami”, fu l’unica parola che pronunciò.
Poi riemerse, incolume. Il passo cadenzato, lo sguardo fisso davanti a sé, come in trance.
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Il rito si era compiuto.
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Solo allora, Svend si mosse e, lentamente, le andò incontro.
“Allora sei davvero tu, il fantasma di Mynte! Ma pensavo ti vedessi solo io…”
“Sì, Svend, sono io. Non sono un fantasma, sono vera, ma lo sarò ancora di più.”
“Ma quell’aquila, quell’aquila? Prima mi vuole uccidere e tu la cacci, ora piangi per lei.”
“Quell’aquila ti ha salvato la vita, devi a lei la tua vita… capirai…”
Un fumo acre, denso e polveroso, iniziava a riempire l’aria e il respiro. Nuvole bianche, poi nere, si fusero con la neve, che tutto ricopriva.
Fino a che quel fulgore tramontò, e venne l'alba.
E, quando il fuoco si esaurì, tutti videro il fenomenale arcobaleno, che si innalzava nel cielo, e sorgeva dalla cenere e dai carboni.

Una radura bruciata, dove un tempo sorgeva la libreria di Halvor, era tutto ciò che rimaneva, tronchi neri immobili, completamente spogli, qualche ciuffo di erba a macchiare il marrone del terreno.
Oltre ai vigili del fuoco, molti cittadini erano accorsi per domare l'incendio, ma tutti gli sforzi si erano rivelati vani, la resina era un ottimo combustibile e le pagine dei libri si erano accartocciate, trasformandosi in cenere, scoppiettii avevano riempito l'aria fumosa.
Le versioni di chi era presente durante l'incendio e lo spegnimento dello stesso erano discordanti: chi raccontava che lo stagno si era completamente svuotato, spegnendo l’incendio, chi ricordava Halvor, che spargeva acqua utilizzando una potente pompa, chi affermava che l’incendio si era esaurito da solo, lasciando solo cenere e polvere.
Inge e Ole furono i primi a cercare di mettere un po’ di ordine in tutto quel caos. Raccolsero in mucchi ordinati i pochi libri bruciacchiati, ponendoli di fianco ai muriccioli anneriti. Smaltiti tutti i detriti rimase l’ampia radura e quell’angolo a cui erano stati addossati i libri; poco distante da essi si era formata una pozza di acqua, che aveva i colori dello stesso arcobaleno. Quel luogo era divenuto un punto di pellegrinaggio. Era un qualcosa di curioso e misterioso.
Halvor aveva lasciato Farstrup, aveva abbracciato Ole e Inge, aveva abbracciato suo padre e sua madre.
“Ho bisogno di riflettere, di capire cosa fare nel futuro. Vi amo e tornerò”, furono queste le sue parole prima di andare.
Mathilde fece fatica a trattenere le lacrime, mentre lo abbracciava, sorrideva con il suo sorriso da elfo felice,
ma calde lacrime le bruciavano gli occhi: sapeva che doveva lasciarlo andare da solo e che forse non sarebbe tornato, nonostante la promessa.
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