MONICA MAZZANTI
copywriting - redazione testi
corsi di scrittura
Inchiostro di parole
Capitolo 23 - Un regalo inaspettato
Patrizia
Freja stava ricopiando in bella calligrafia, dagli appunti presi con l’aiuto di Mynte, un erbario per aggiungere un capitolo per le tisane. Vedeva spesso Mynte e non mancava mai Svend al suo fianco. Come li trovava diversi dai ragazzini che aveva frequentato 25 anni prima! In loro c’era una maturità e una consapevolezza che la ammaliava, trovava stupefacente il loro amore, eppure la sua fronte era solcata da una ruga netta verticale fra le sopracciglia: era preoccupata per Halvor, che ancora non aveva dato sue notizie e per la cecità di Mynte. Temeva il futuro.
Alzò lo sguardo e contemplò i barattoli, ordinatamente disposti sulle mensole, contenenti le erbe raccolte; ad ogni barattolo aveva incollato un’etichetta su cui troneggiava il disegno dell’erba o del fiore e il nome della specie, vergato in bella ed elegante calligrafia. Si alzò e si avvicinò alle mensole, carezzò le etichette, poi prese il barattolo con la menta, lo aprì e ne annusò il contenuto. Mentre lo rimetteva al suo posto la preoccupazione si dissolse, quando il rumore di un clacson echeggiò dal cortile sorrise: la ruga sulla fronte quasi scomparve, mentre si accentuarono quelle agli angoli della bocca. Si affacciò alla finestra.
“Arrivo subito Mathilde.”
Passò le mani sulla lunga gonna, quasi a stirarne le pieghe, poi con le dita ricacciò sotto la cuffia il ciuffo ribelle e con il suo passo deciso uscì dalla stanza.

Mathilde non aveva perso l’abitudine di recarsi al Bar Lett, la sua natura allegra consentiva a chi stava in sua compagnia di rilassarsi e dimenticare i problemi. Quel pomeriggio aveva invitato tutti, voleva condividere il suo pensiero per la ricostruzione della libreria e voleva conoscere l’opinione delle persone a lei care.
Appena Freja salì sull'auto, Mathilde iniziò subito a raccontare:
“Ole ed Inge sono persone veramente speciali. Hai fatto la cosa giusta quando hai affidato me ed Halvor a loro. Io li adoro. Era giusto che conoscessero la verità ed è stato più semplice di quanto immaginassi. Dopo la scoperta della lettera, se ne sono stati da parte… volutamente, credo. Penso sia stato Ole a volerlo… Poi, con l’incendio, è stato ovvio che c’era molto di stregato, ho provato a spiegargli nella maniera più semplice possibile e… hanno accettato… Chissà, forse sono magici anche loro”, aggiunse ridendo. “Hanno accettato Svend e Mynte come fossero altri due figli adottati. Oggi ci saremo tutti. Non vedo l'ora di conoscere il vostro pensiero in merito a una mia idea, aspetta e vedrai! Poi non vedo l'ora di assaggiare la nuova specialità, mi hanno parlato di biscotti speziati con gocce di cioccolato, biscotti con mandorle salate.”
In un tavolino, posto subito a destra dell'entrata del bar Lett, c'era il sindaco, indaffarato a pestare i tasti di un computer portatile. Non sollevò neppure lo sguardo quando entrarono le due donne, continuava a fissare lo schermo come ipnotizzato, utilizzava gli indici delle mani per colpire la tastiera per poi posare la grossa mano destra sul mouse, che muoveva con gesti rapidi e sincopati. Scosse la testa sbuffando e allungò la mano sinistra verso una tazza colma di un liquido chiaro e fumante, ma mancò la presa, urtò il manico, rovesciando tutto il contenuto sul lap top.

”Oh nooo… di nuovo… è la terza volta questa settimana, maledizione.”
Mentre si passava le mani fra i capelli, alzando la testa, vide Mathilde e Freja.
“Mathilde cara, sorella, che piacere. Ultimamente le tazze ce l'hanno con me, ah ah ah, sapete, sto cercando dov’è Halvor… ho tracciato una mappa e verifico tutto su internet, beh non è complicato, cioè sì, un po’ complicato lo è, ma poi, comunque, ‘ste tazze non so più dove metterle… potrei lavorare in ufficio, ma preferisco che non mi veda nessuno, cioè…”
Non smetteva di parlare, finché una cameriera giunse e con uno strofinaccio e asciugò il tavolino. Il sindaco mise il laptop sotto il braccio.
“Beh ora devo andare, mi sa che anche questo ha finito di funzionare” senza salutare, volse loro le spalle e uscì brontolando.
Mathilde prese Freja sotto braccio “Normale non lo è mai stato, ma ora mi sa che è ancora più fuori di prima. Siamo arrivate per prime. Dai andiamo intanto a scegliere i biscottini”.
Erano intente a scegliere i dolcetti quando entrarono, mano nella mano, Svend e Mynte. Si sedettero in fondo alla sala, poco distanti dalla grande finestra, dove, anziché tavolini, c'erano poltrone e divani con, dinanzi, bassi tavolinetti come nei salotti. Svend scelse un divanetto su cui fece accomodare Mynte. Freja e Mathilde due poltroncine ai lati. Rimaneva libero un altro divanetto per Ole ed Inge, che si stavano avvicinando.
Fu Freja a rompere il silenzio, mentre si lisciava il ciuffo ribelle.
“Mathilde ci ha convocato per parlarci di una sua idea, sentiamo, sentiamo, son proprio curiosa!
“Allora”, iniziò Mathilde, schiarendosi la voce. “Io... io penso che dovremmo ricostruire la libreria. È la particolarità di Farstrup, non possiamo farne a meno. Vedrete, faremo una colletta, sono sicura che tutti, o quasi, ci staranno. Poco a testa e, senza fretta, chiunque voglia farne parte avrà un suo compito. Dai, si può fare, si può fare!”
Inge, senza indugi, fu la prima a rispondere:
“Sì, Mathilde, si può fare! Sono totalmente d’accordo. Poi noi siamo vecchi, i nostri soldi andranno lì, per voi, per i nostri figli, sarà un regalo per Halvor, per quando tornerà, vero Ole?”
“Certo, certo, non importa quanto tempo ci vorrà, ma ce la faremo!”
Nessuno ebbe esitazioni. Svend partì subito sparato, affrontando argomenti pratici, suffragato da Ole, che ogni tanto aggiungeva un commento. Inge prendeva appunti. Freja era quasi commossa, ascoltava insieme a Mynte, che aveva stampato in viso un sorriso dolce e sognante, mentre Mathilde, soddisfatta, sgranocchiava i biscotti. Al momento del commiato, Freja si rivolse a Svend:
“Sembri un ragazzino, il tuo entusiasmo è quasi palpabile”, gli disse, carezzandogli una guancia, poi abbracciò Mynte.
“Verrai domani?”
“Sì, domattina, al sorgere del sole, andrò allo stagno a raccogliere le foglie di menta. Te le porterò con tutte le radici e ti spiegherò come mischiarle ai petali delle violette.”
Fu un pomeriggio indimenticabile, il primo pomeriggio sereno dopo l’incendio e la partenza di Halvor.
​
All'alba del giorno dopo, aiutata da un bastone per sondare il percorso, che conosceva a perfezione, si recò allo stagno e proseguì nel bosco. Adorava ascoltare il rumore della natura e i suoi profumi. Il suo udito e il suo olfatto si erano maggiormente sensibilizzati. Abbracciò il tronco di una quercia e posò la guancia sulla ruvida corteccia. I capelli sciolti in lunghi boccoli le ricoprivano le spalle, indossava un abito di lana di colore azzurro e un paio di stivali di cuoio nero senza tacco, che luccicavano di rugiada.
Benché cieca, percepiva la differenza tra il giorno e la notte, la luce e il buio. Per un attimo avvertì come un’ombra passarle davanti.
Qualcuno la stava osservando, sentì un piccolo brivido lungo la schiena, poi sentì un frullio di ali e, subito dopo, un gorgheggio, inizialmente timido, quasi impacciato.
“Ciup ciup ciup copiti ciompi ciup ciup”
“Oh la primavera, la rinascita”, pensò.
Per un attimo si sentì smarrita, avrebbe voluto vedere, ma fu solo un attimo. Con la mente andò alle immagini delle tante primavere vissute, alle meraviglie dei boccioli, al rigoglio di colori e profumi. Di nuovo il rumore di un veloce battito d'ali, così vicino questa volta, che si sentì sfiorare i capelli.
"Deve essere un uccellino appena volato via dal nido. Come vorrei carezzarlo", pensò e tese le mani.

Un canto melodioso arrivava ora alla sua destra.
"Questo è il canto di un usignolo, sembra quell’uccellino dell’altro giorno”.
Poi il silenzio, di nuovo un frullio e l'usignolo venne a posarsi sulla sua mano tesa. Mynte sentì un empito di gioia colmarle il cuore e salire verso la gola. Era talmente piccino, che sembrava appena nato. Con l'indice della mano libera carezzò il capino, scese lungo la schiena e la coda, l'usignolo non si muoveva, lei ne percepiva il calore e il battito del cuore. Posò nuovamente il polpastrello sul piccolo capo e con delicatezza passò le dita sugli occhi. Ebbe un fremito, d’istinto spalancò lo sguardo, quasi potesse vedere: uno degli occhietti dell’uccellino fuoriusciva dall’orbita.
Allora capì.
L'usignolo riprese a gorgheggiare, mentre Mynte delicatamente gli carezzò nuovamente quella protuberanza. Chinò il capo sulla bestiola, socchiuse i grandi occhi, come a voler racchiudere quel momento dentro di sé e, in una sorta di estasi, appoggiò l’uccellino sul cuore, sussurrando piano:
“Ti amo”.
Un inaspettato e meraviglioso arcobaleno risplendeva intorno all’usignolo, risaltandone la bellezza: il becco rosso acceso, il petto giallo, che sfumava verso l'arancio, le piume delle ali con striature gialle, rosse, arancioni. Mynte, tale bellezza, non poteva vederla, ma calde lacrime, che avevano i colori dello stesso arcobaleno, le riempirono gli occhi. Il gorgheggiare dell'usignolo riempì l'intero bosco.

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