le vetrine dei gioiellieri
- Monica
- 27 apr 2018
- Tempo di lettura: 2 min

Stavo per alzarmi quando guardai verso destra e vidi una daina sul letto della ferrovia a meno di dieci metri da me. Il cuore mi saltò in gola, così in alto che avrei potuto mettermi una mano in bocca e toccarlo. Sentii lo stomaco e i genitali riempirsi di un'eccitazione rovente. Non mi mossi. Non avrei potuto nemmeno volendo.
I suoi occhi non erano marroni, ma di un nero profondo, polveroso come il velluto che si vede sul fondo delle vetrine dei gioiellieri. Le piccole orecchie erano di una pelle vellutata. Mi guardava con tranquillità, la test leggermente inclinata in quella che mi parve un'espressione di curiosità, a vedere un ragazzo con i capelli arruffati per il sonno, con i jeans con i risvolti e una camicia beige con le toppe ai gomiti e il colletto rialzato secondo la moda del giorno. Quello che vedevo io era una sorta di dono, un dono offerto con una disinvoltura che mi spaventava. Ci guardammo a lungo... credo che fosse a lungo.
Poi si girò e si allontanò dall'altra parte della ferrovia, con la corta coda che scattava svogliata. Trovò dell'erba e prese a brucarla. Non potevo crederci. Si era messa a brucare. Non guardò verso di me, e non ne avrebbe avuto bisogno: io ero completamente paralizzato. Allora i binari si misero a tremarmi sotto il sedere e pochi secondi dopo la testa della daina si sollevò, girata verso Castle Rock. Rimase ritta lì, il naso nero che annusava l'aria. Poi in tre salti fu scomparsa, svanendo nel bosco senza altro rumore che quello di un ramo marcio, che si spezzò con uno scatto secco. [...] Stavo proprio per dire della daina; ma poi finii per non farne niente.
È una cosa che mi tenni per me. Finora, fino a oggi, non ne avevo mai parlato o scritto. E devo dirvi che scritto sembra una cosa di poco conto, quasi insignificante. Ma per me fu la cosa più bella della spedizione, la parte più pulita, e fu un momento a cui mi sono trovato a ritornare quasi inevitabilmente ogni volta che mi sono trovato in difficoltà nella mia vita - il mio primo giorno nella foresta in Vietnam, e quel tizio uscì con la mano davanti al naso nella radura dove eravamo, e quando tolse, la mano il naso non ce n'era perché gli era stato sparato via; quella volta che il dottore ci disse che nostro figlio più piccolo poteva essere idrocefalo (poi risultò che aveva solo una testa un po' grande, grazie a Dio); le lunghe, allucinanti settimane prima che mia madre morisse. Sempre avrei trovato che i miei pensieri tornavano a quella mattina, al morbido pelo delle sue orecchie, al lampeggiare bianco della coda. Ma a ottocento milioni di cinesi rossi non gliene frega proprio niente, giusto?
Le cose più importanti sono le più difficili da dire, perché le parole le rimpiccioliscono. È difficile far in modo che un estraneo provi interesse per le cose belle della tua vita.
Stephen King, Il corpo
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