l'ultimo marinaio di Berguglie
- Monica
- 23 feb 2018
- Tempo di lettura: 2 min

Nell'isola di Molat, nella costa della Dalmazia settentrionale, si trova un piccolo borgo chiamato Brgulje, di cui un'appendice prende vita sul mare: un conglomerato di case che si affaccia su un lungo fiordo.
A metà giugno sono in barca in Croazia. Metà giugno?? Un freddo birichino, bora in faccia a 35 nodi: il piccolo porticciolo di Molat ci accoglie con l'ultimo posto rimasto! La sosta forzata ci tiene fermi due notti e l'isola la esploriamo... via terra.
Così arrivo a Brgulje attraverso la piccola stradina che valica la collina, e ritorna al mare. Ci sono alcune barche all'ancora in mezzo al fiordo, ma non sembra estate. In estate la folla di umani e barche è quasi insopportabile, è ancora presto, sarà il freddo. Sembriamo gli unici stranieri, a parte una famiglia inglese, e una giovane americana, che gioca a bigliardo con un croato in un bar. Il proprietario del bar ritocca la vernice della porta d'entrata, preludio di quello che verrà.
In barca, immancabile, gira l'ultimo numero di Bolina. <<L'hai letta la storiella su Berguglie?>> <<Berguglie???>> Come potevo non esserci arrivata? Berguglie era Brgulje; Melada, Molat. E tutto ritornava. La stessa stradina, gli stessi odori mediterranei di pini e acacie, la stessa atmosfera nostalgica di inizio estate e sì... lo stesso dialetto veneto parlato da certi vecchi croati, come la signora del ristorante, strano, ma vero, forse antico retaggio della Serenissima!?!
L'ultimo marinao di Berguglie
Aveva negli occhi ancora la luce del mare, occhi azzurri un po’ velati dagli anni e da un ultima mesta rassegnazione. Era stato un marinaio, il mondo l’aveva visto dalla plancia delle navi e girato sulle banchine.
<<Sì, anche in Giappon son sta'>>, mi disse. Quest’uomo, ancora eretto e asciutto, è l’ultimo marinaio di Berguglie, nell’isola di Melada in Dalmazia.
Il sole del tramonto illuminava tra groppi di nuvoloni i tetti di ardesia e le grigie pietre del piccolo paese sparso tra i pini e le acacie. Sopra, il richiamo di piccole rondini. Lui se ne stava là, quasi a misurare a passi lenti il selciato della stradina tra queste case, tutte chiuse e abbandonate.
<<I se ancora tutti a Zara, i padri e i fioi, ghe se ancora la scola, poi i vegnarà, ma i starà zò al porto, alla banchina co’ i turisti>>, spiegò il vecchio.
Un po’ alla volta, parlando, ritrovava le parole di un italiano di troppi anni fa. Aveva girato tutta l’Italia per mare, Trieste, Venezia, Genova, era l’Italia dei porti, quella che ancora ritrovava nella mente.
<<Ora son qua>>, disse. Sono qui così, come mi vedete, voleva dire, appena curvo nel suo cappotto scuro dalle spalle larghe e smarrite, guardando lontano, verso terra e la catena dei monti Velebit, ricoperte dalle incombenti e fredde nuvole di maggio. La bora forse avrebbe spazzato via tutto come nei lunghi mesi di solitudine d’inverno. Un sorriso tra la barba appena incolta e ci aveva salutato.
La stradina ci riportò al porticciolo, attorno c’erano piccoli ciclamini, fiori arancioni appena schiusi e di nuovo il profumo d’acacia e il richiamo del gioco delle rondini. Con la primavera tornava la buona stagione. Più giù, tra le chiome dei pini, spuntavano gli alberi delle prime barche dei charter.
Giovanni Testa, Bolina
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