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La memoria dell'acqua

  • Immagine del redattore: Monica
    Monica
  • 9 lug 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 26 mar 2023




La pioggia cadeva contro il vetro in un ticchettio insistente e scomposto. Il buio circondava la casa nel silenzio assoluto, rotto solo dai tuoni. Nulla si vedeva al di là della vetrata, se non nel momento in cui il lampo invadeva quel piccolo squarcio di foresta. Pioveva e pioveva, da giorni. Era arrivata la stagione del monsone. Sara sedeva sola, accoccolata nella grande poltrona, e guardava fuori, attendendo la luce del lampo. Era una di quelle strane sere in cui si rincorrono sensazioni e umori leggeri accompagnati da quella sottile malinconia, che ti porta a vagare con la mente tra ricordi scomposti, tra immagini sfumate. Sarebbe presto partita per l’Italia, in quel viaggio che tanto la attraeva, ma un po’ la inquietava. Il tuono che seguì rombò ancora più forte, quasi da far rabbrividire, ancora più intenso seguì il lampo, che illuminò ancor più alberi, le fronde e i tronchi, che alti svettavano nella buia cornice. E, all’improvviso, rivide il pioppeto, altri tronchi, altre fronde, alberi diversi e lontani. Tanto tempo era passato. "100 lune dovran passare, sulle onde del mare…” “Mamma, vado a letto, vieni a leggere con me?“ la voce di Anisha arrivò limpida a interrompere i suoi pensieri. “Sì, tesoro, intanto preparati ed entra sotto le coperte”. Anisha, la figlia dell’amore, quello che lei non era stata… “e perché non portarmela dietro”, pensò. Hari non avrebbe avuto niente in contrario, ma sì, aveva deciso, la bambina sarebbe andata con lei in Italia.


Terra e acqua. Acqua e terra. Basterebbero queste semplici parole per descrivere il delta del Grande Fiume. Una terra di una bellezza difficile e selvaggia, che la fatica dell’uomo, attraverso gli anni, ha saputo strappare agli acquitrini, alle paludi, alla malaria. Il Po si apre con grandi tentacoli in una fittissima rete di rami e canali di intricata vegetazione palustre, i canneti incontrano strisce di sabbia e dossi, le ninfee si adagiano sull’acqua scura: dietro, saliceti e pioppeti. E poi gli uccelli, gli uccelli selvatici dalle variegate livree, e il loro penetrante canto.


Sara era nata sul Grande Fiume alla fine degli anni ’60. Il nonno, un pescatore. Quanto tempo passato nel capanno sul fiume a calare la rete, ma anche sulla barca, durante l’estate, a pescare tra i meandri delle valli. Quell’intricato labirinto era presto diventato fertile terreno di gioco, un mondo stregato in cui perdersi e ritrovarsi, in mezzo alla natura, stagione dopo stagione, tra i canneti, sulle spiagge, in mezzo al pioppeto.

A farle compagnia, Luca, l’amico di sempre. Insieme avevano letto L’isola del Tesoro, Il signore delle mosche, i romanzi di Salgari, e lungo il fiume avevano trovato la loro giungla, le loro isole, le loro spiagge.


Un giorno, camminando sul greto, la loro attenzione fu catturata da qualcosa che luccicava tra l’erba.

“Aspetta Sara, guarda!” esclamò Luca.

“Che è?” gli fece eco la bambina.

“Un piccolo pesce, un piccolo pesce d’argento”.

“Ma che ci fa un pesce finto sulla sponda di un fiume?”

“Sarà una di quelle esche che usano i pescatori, no? Quelle che brillano per catturare i pesci”.

Luca lo aveva raccolto e fatto gelosamente scomparire in una delle sue tasche.



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