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Quanta confusione quando si parla di cinofilia. Addestratori ed educatori, dog trainer, comportamentalisti e istruttori. Cosa vogliono dire queste “parole”? Il proprietario di un cane non lo sa e, anche tra gli stessi professionisti, ognuno interpreta questi titoli a modo suo, dandogli significati e sfumature che spesso coincidono, perlomeno, nel presupposto e… tentare di fare chiarezza diventa difficile.

Cosa ancor più spiacevole, le mille diatribe, i dibattiti, gli scontri, le offese...

Ma un passo in avanti è stato fatto su tutti i fronti: l’addestramento coercitivo e punitivo è rimasto retaggio di un gruppo sempre più ristretto di emeriti imbecilli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Infatti, c’era una volta la cinofilia, quella di più bieco stampo medievalista, che ci hanno propinato per anni e anni e anni, nella quale, accanto al rinforzo positivo: “fai il bravo = ti do un premio”, c’era anche il “non mi ascolti… = ti sistemo io!”

Poi, un bel giorno, si arrivò a pensare che non era necessario infierire dolore a un cane per farsi ubbidire, invece di  punire l'errore, bastava che fosse il comportamento virtuoso a essere premiato; finiva così per ascoltarti, non perché terrorizzato da una punizione, bensì guidato da un rinforzo positivo o premio, che dir si voglia.

Venendo al dunque, addestramento e educazione prevedono due approcci diversi e, pertanto, partono da presupposti differenti. È lungi da me fare polemica (purché al cane non venga fatto del male). Io, sono un educatore, e sono fiera della mia scelta.

Gli addestratori -che possono essere molto bravi- insegnano al cane una performance su richiesta.

Gli educatori ne formano il carattere per arrivare a regole comportamentali di tipo adattivo, passando attraverso gratificazione e relazione.

Con l'addestramento si ottengono ottimi risultati performativi.  Se devi preparare un cane a un lavoro specifico, come può essere quello del cane poliziotto - per esempio - che deve fare bene quella determinata cosa e concentrarsi su quella, l’addestramento è certamente la giusta strada. 
Ma io non volevo il “cane burattino”, non mi interessava facesse il doppio-salto-mortale, amavo e rispettavo troppo i cani per rapportarmi con loro sulla base di tecniche di condizionamento o, ancor peggio, di riverenza e timore. Non mi interessava la loro "ubbidienza", ma la capacità di portarli verso la scelta giusta in maniera autonoma e flessibile, in base a conoscenze acquisite a livello cognitivo, sviluppando altresì una dimensione di relazione.

Proprio per questo, tra le scuole di pensiero dell'educazione cinofila, quella da me prescelta è di tipo cognitivo-zooantropologico. Si tratta infatti di un approccio, e non di una tecnica. Non è l'educatore a lavorare con il cane, ma lo stesso proprietario. Non segue schemi predisposti, ma si basa sullo specifico soggetto, le sue esigenze, le sue problematiche.

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