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Capitolo 21 - Una nuova vita

Patrizia 

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All'alba di quella mattina Mynte colse il trifoglio viola, facendo attenzione a raccogliere anche le radici, quindi raccolse le margherite gialle. Con ormai il cestino pieno decise di andare alla pozza, la cui acqua aveva il colore dell’arcobaleno, sicura che a quell’ora non avrebbe trovato nessun turista o curioso. Le querce secolari, completamente spoglie con i rami e i fusti neri, sembravano enormi guardie dalle tante braccia. Qua e là sulla terra scura qualche ciuffo di erba. Poi, come un monumento, i muretti anneriti a cui erano appoggiati i libri. Poco distante la pozza, circondata da tronchi mozzati, che venivano utilizzati come sedili. 

 

   Mynte sedette su un tronco ad osservare i colori, che fluttuavano nell’acqua, prese una margherita gialla e la depose sul bordo e, mentre si chinava, un’ombra passò, come una piccola nuvola, a coprire per un attimo il sole nascente. Ma nel cielo non c’erano nuvole. Sentì il canto melodioso, del tutto particolare, di un uccellino.           
  “Ciup ciup ciup copiti ciompi ciup ciup”           
  Ma sugli alberi spogli non scorse nessuno. Si alzò. Nuovamente un’ombra attraversò la sua visuale. Mynte lo colse come un segnale, un’indicazione che seguì, trovandosi quindi al limitare del bosco, dove gli alberi erano nuovamente verdi e la vegetazione vibrava di vita.               
  Di nuovo un’ombra alla sua destra e un gorgheggiare:
  “Ciup ciup ciup copiti ciompi ciup ciup”                       
  Un usignolo giapponese, che sembrava appena nato, era posato su un cespuglio di agrifoglio accanto a splendide bacche rosse.       
  Gli occhi dell’usignolo fissarono con insistenza gli occhi di Mynte, lei si avvicinò con le mani protese, ma l’usignolo, vedendola avvicinarsi, volò via.          
  Attorno all’albero con il portale la luce filtrava attraverso i rami, Mynte sminuzzava le radici del trifoglio viola e i petali delle margherite gialle, trasformandoli in una mistura umidiccia e appiccicosa. Le parve di sentire nuovamente il canto di un usignolo, ma non interruppe il suo lavoro. Il pomeriggio giunse e lei poté riposarsi in attesa che giungesse la notte.

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  La luna risplendeva alta nel cielo, quando si diresse verso un abete centenario alla cui base si sedette, immobile, in attesa. Il silenzio e il buio la circondavano, solo una flebile luce che proveniva dalla luna.
   Poi un leggero frullare di ali sopra la sua testa e, sollevando lo sguardo, vide il
gufo che si era posato su un ramo del larice di fronte all’abete. Allora prese la mistura preparata a cui aggiunse una manciata del terreno umido su cui era seduta, tenne il tutto fra le due mani, quindi se lo applicò sulle palpebre. Pochi istanti e gli occhi del gufo appollaiato sul ramo presero a brillare: uno azzurro e l’altro giallo, quindi apparve un arcobaleno, oltre il quale il gufo sparì.  
  Mynte tremò, le spalle sussultarono, si lasciò andare contro il tronco dell’albero, mentre grosse lacrime del colore dell’arcobaleno le bagnarono le guance.     
  Rimase seduta ai piedi dell’abete centenario tutta la notte, attese paziente la nuova alba. Quando sentì i richiami che gli uccellini si scambiavano, si alzò. La testa le girava, cercò con la mano il tronco e lo accarezzò, lo annusò, quindi alzò la testa, rivolgendo il volto al cielo e, seppur zigzagando, con passi piccoli e incerti, sempre a testa alta, percorse la strada che l’avrebbe portata alla sua
nuova casa.

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image credits: 1. Prettysleepy da Pixabay                                                                                          

                                                                                                                                                                      Capitolo  22

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